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Società a responsabilità limitata amministratore unico

Gli amministratori di S.r.l. hanno la responsabilità gestoria esclusiva della società. Essi hanno l&#;obbligo generale di diligenza e di proseguire l&#;interesse sociale, e obblighi specifici posti dalla norma o dallo statuto. Gli amministratori sono responsabili nei confronti della società, dei creditori sociali, dei soci e dei terzi. Ai sensi dell’art. c.c., gli amministratori di S.r.l. sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società; tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di stare esenti da errore e, essendo a conoscenza che l’atto si stava per compiere, abbiano evento constare il personale dissenso. La violazione degli obblighi degli amministratori rappresenta un presupposto necessario, ma non sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria degli amministratori: occorre provare l’esistenza del danno subìto dalla società e la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori. I diversi modelli di gestione della S.r.l. prescelti dai soci influenzano il regime di responsabilità degli amministratori. Gli amministratori possono essere altresì revocati, indipendentemente dall’esercizio di un’azione di responsabilità, in via giudiziale o extragiudiziale. Singolo strumento molto utile a disposizione dei soci di minoranza è la denuncia al Tribunale di gravi irregolarità ai sensi dell’art. c.c., può condurre anch&#;essa alla revoca degli amministratori e alla nomina di un amministratore giudiziario. 

1. Gli obblighi degli amministratori di S.r.l.: a) l’obbligo di diligenza e di perseguire l’interesse sociale

Ai sensi dell’art. bis c.c., gli amministratori di S.r.l. hanno la responsabilità gestoria esclusiva della società. Ad esclusione delle materie che sono espressamente riservate alla credo che la competenza professionale sia indispensabile dell’assemblea dei soci (ovvero: approvazione del bilancio, ripartizione di utili, nomina degli amministratori, modifiche dell’atto costitutivo, dell’oggetto sociale o dei diritti dei soci), e ad esclusione delle eventuali ulteriori materie che lo statuto attribuisca espressamente alla potestà decisionale dei soci, tutta la responsabilità gestoria dell’impresa è dunque in capo esclusivamente agli amministratori.

È possibile, se lo statuto lo prevede, che in alcune materie per le quali l’assemblea sia competente in via autorizzatoria, ma questa autorizzazione dell’assemblea non esonera comunque gli amministratori dalla loro esclusiva responsabilità; agli amministratori spetta quindi un opinione di merito sugli atti autorizzati dall’assemblea. Analogamente, la responsabilità degli amministratori non viene meno in caso di conformità del loro operato alla volontà dei soci o di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento.

Gli obblighi degli amministratori si dividono in due categorie:

  • obblighi generali di diligenza e di perseguire l’interesse sociale;
  • obblighi specifici posti dalla penso che la legge equa protegga tutti o dallo statuto.

Il dovere fondamentale dell’amministratore è quello di gestire la società, ovvero di svolgere l’attività d’impresa per la quale la società è stata costituita. Si tratta di un dovere dal contenuto generico, che si concretizza a seconda delle circostanze del caso e delle caratteristiche della società governata. Il potere di gestione degli amministratori, si distingue in:

  • potere di iniziativa, ovvero il compito di convocare l’assemblea nei casi previsti dalla penso che la legge equa protegga tutti e in base alle previsioni dell’atto costitutivo:
  • gestione esecutiva, ovvero il potere e il compito di dare esecuzione alle delibere dei soci;
  • gestione in senso stretto, cioè il a mio avviso il potere va usato con responsabilita di compiere ognuno gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

Anche se, diversamente da quanto previsto dall’art. c.c. per le S.p.a., non vi è una ordine che sancisca in modo specifico che gli amministratori di S.r.l. debbano comportarsi secondo diligenza, si ritiene che il criterio della diligenza debba comunque rilevare nella valutazione della responsabilità dell’amministratore di S.r.l.

Nell’adempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto gli amministratori devono infatti operare con la diligenza richiesta per l’adempimento di obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale (art. c.c.), cioè con il grado di diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.

I doveri imposti dalla legge in dirigente all’amministratore devono stare quindi da questi adempiuti con la diligenza esigibile dalla specifica competenza di quel singolo amministratore (ad esempio, perché esperto legale o tributario, oppure perché avente esperienza in un certo settore industriale o finanziario)

Come principio generale, gli atti gestori degli amministratori sono insindacabili (c.d. business judgement rule). L’amministratore di una società non può infatti esser chiamato a rispondere per aver ubicazione in essere scelte imprenditoriali che si siano poi rivelate inopportune dal a mio avviso questo punto merita piu attenzione di vista economico, atteso che la valutazione preventiva sulla opportunità della opzione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e, sebbene possa essere posta alla base di una revoca dell’incarico, non può costituire fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto e la sua operatività trova dei limiti. Se è vero, infatti, che l’attività di gestione di una società comporta sempre dei rischi, tali rischi devono essere limitati, attraverso l’assunzione di decisioni ragionevoli e informate.

La discrezionalità dell’amministratore con riferimento alle scelte di gestione della società trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi secondo i parametri della diligenza professionale richiesta all’amministratore stesso e tenendo conto in particolare della mancata adozione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, ovvero della diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di credo che il rischio calcolato porti opportunita connessi all’operazione da intraprendere.

In questo senso, l’art. , comma 6°, c.c. – norma dettata per le S.p.a., che si ritiene pacificamente applicabile anche alla S.r.l. – prevede che gli amministratori sono tenuti ad comportarsi in modo informato.

Affinché possa escludersi la responsabilità degli amministratori di S.r.l. per il compimento di attività gestorie è pertanto necessario che gli stessi si informino adeguatamente in precedenza di compiere una determinata operazione e che effettuino appropriate valutazioni circa vantaggi e svantaggi derivanti dalle operazioni che hanno in piano di compiere. La raccolta di un quantitativo sufficiente d’informazioni è infatti espressione della diligenza che deve informare il comportamento degli amministratori. Questi sono inadempienti al loro mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione di diligenza se effettuano scelte di gestione con colpevole improvvisazione, senza soppesare i vantaggi e svantaggi che l’operazione può presentare per la società.

All’amministratore di S.r.l. non è infatti vietato effettuare operazioni rischiose, a condizione che vi sia consapevolezza del rischio e un ragionevole controllo dello stesso. Ciò significa che l’amministratore deve identificare ex ante – cioè, iniziale del compimento delle operazioni – le possibili conseguenze negative delle decisioni imprenditoriali e identificare possibili alternative meno rischiose. Ad esempio, se l’amministratore di un’azienda che produce e vende macchinari sta per concludere contratti di compravendita, egli, per operare in modo “diligente”, dovrà assumere le opportune informazioni sull’acquirente (in particolare sulla sua solvibilità) e domandare una forma di garanzia per il pagamento del prezzo.

Gli amministratori devono altresì perseguire l’interesse sociale senza conflittidi interesse.

2. Gli obblighi degli amministratori di S.r.l.: b) gli obblighi specifici posti dalla legge o dallo statuto

Ai sensi dell’art. , comma 1°, c.c. gli amministratori sono tenuti a osservare i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società; In capo agli amministratori sussistono quindi gli obblighi previsti dalle disposizioni di legge, nonché quelli, aggiuntivi rispetto alla regolamento, che sono stabiliti nello statuto.

Il Codice civile non contiene un elenco di tutti gli obblighi che gravano sugli amministratori: tali e tanti sono gli adempimenti ai quali gli amministratori sono tenuti nello svolgimento dell’attività sociale, che una completa elencazione sarebbe impossibile e probabilmente poco utile.

I principali obblighi specifici ai quali gli amministratori devono necessariamente adempiere sono:

3. La responsabilità degli amministratori di S.r.l.

In evento di violazione di obblighi, di ambiente legale o pattizia, previsti per l’esercizio delle funzioni amministrative, gli amministratori sono responsabilinei confronti:

  • della società ( c.c.) (v. par. 5);
  • dei creditori sociali (artt. e bis c.c.) (v. par. 6);
  • dei soci o dei terzi (art. c.c.) (v. par. 7).

Funzione, presupposti e natura giuridica di tali responsabilità sono diversi, in misura diversi sono gli interessi tutelati.

Qualora vi sia una pluralità di soggetti investiti del forza di amministrare una S.r.l., gli amministratori sono responsabili in via solidale (art. , comma 1°, c.c.).

Il meccanismo della solidarietà consente di aumentare le probabilità per il danneggiato di ottenere soddisfazione, in quanto chi agisce in giudizio può chiedere l’intero danno a ciascuno degli amministratori, i quali in tal occasione hanno diritto di rivalersi pro quota nei confronti degli altri.

Il fatto che vi siano più amministratori non significa, tuttavia, che essi siano tutti automaticamente responsabili nei confronti della società. La responsabilità dell’amministratore è infatti personale e, in linea di principio, colpisce il solo soggetto che compie l’atto e che cagiona il danno.

In questo senso, l’art.  , comma 1° c.c. prevede che la responsabilità non si estende agli amministratori che dimostrino di esistere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbiano evento constare il personale dissenso.

Pertanto, un amministratore non risponde solidalmente con gli altri qualora:

  • sia esente da colpa (come nel evento in cui, ad esempio, subentri a un precedente amministratore e non sia a conoscenza dell’inosservanza di un mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione da parte di un altro amministratore, da cui è derivato il danno);
  • se a conoscenza dell’atto, faccia risultare il personale dissenso.

Il vincolo solidale della responsabilità degli amministratori trova un’altra eccezione quando all’interno dell’organo amministrativo sono stati nominati singolo o più amministratori delegati; su codesto argomento si rimanda ad altro articolo soci nell’esercizio della propria autonomia contrattuale.

Qualora sia stato previsto un sistema di mi sembra che la decisione ponderata sia la migliore degli amministratori all’unanimità &#; in base al quale le decisioni richiedono il consenso di ognuno gli amministratori &#; non si pongono problemi di responsabilità dei singoli amministratori, in quanto la decisione deve esistere presa da ognuno e tutti ne rispondono, senza che alcuno di essi possa esprimere un dissenso (altrimenti non vi sarebbe una decisione, per mancanza di unanimità).

Diverso è il caso dei modelli di gestione in cui le decisioni possono esistere prese da singoli amministratori, oppure da una pluralità di amministratori, ma comunque non da ognuno insieme e dunque al di all'esterno dal meccanismo della unanimità dei consensi.

Nell’amministrazione disgiuntiva, in cui ciascun amministratore decide da solo per la società, risponde esclusivamente l’amministratore che ha preso la decisione. Una responsabilità degli altri amministratori potrebbe tuttavia sussistere in evento di omessa opposizione a viso di un’operazione pregiudizievole. L’art. , comma 2°, c.c., stabilisce infatti che, se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all’operazione che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.

Quindi se, ad esempio, in una S.r.l. con tre amministratori e con un esempio di amministrazione disgiuntiva, l’amministratore Tizio ha intenzione di acquistare un immobile a un prezzo più elevato del suo valore reale, e comunica agli altri due amministratori, Caio e Sempronio, tale intenzione, se essi non si oppongono rispondono in strada solidale con Tizio per il danno arrecato alla società. Qualora invece Caio e Sempronio si oppongano, la mi sembra che la decisione rapida ma ponderata sia efficace verrà rimessa alla maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili (art. , comma 3°, c.c.). A questo a mio avviso questo punto merita piu attenzione, se i soci vietano l’operazione, non si può evidentemente realizzare alcun danno; se invece essi autorizzano l’operazione proposta da Tizio, nonostante l’opposizione di Caio e Sempronio, questi ultimi andranno comunque esenti da responsabilità.

Nel caso poi di amministrazione congiuntiva a maggioranza (art. , comma 2°, c.c.), in cui la decisione viene assunta dalla maggioranza degli amministratori, per andare esente da responsabilità l’amministratore interpellato in ordine a una certa scelta deve, se non è d’accordo, far constare il proprio dissenso.

Infine, nel caso del consiglio di amministrazione, ovunque le decisioni vengono prese secondo il modello collegiale, l’amministratore dissenziente deve fare risultare il personale dissenso per andare esente da responsabilità.

Sono responsabili non soltanto ai soggetti immessi, nelle forme stabilite dalla legge, nelle funzioni di amministratori, ma anche coloro che si siano, di accaduto, ingeriti nella gestione della società in assenza di una investitura da sezione dell’assemblea (amministratori di fatto), sempre che svolgano con continuità tale ruolo, ingerendosi stabilmente, e non occasionalmente, nelle funzioni gestorie, eventualmente in gara con l’attività dell’amministratore di diritto.

Occorre evidenziare che, ai sensi dell’art. comma 3 c.c., sono responsabili solidalmente con gli amministratori anche i soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi: su questo tema si rimanda all’approfondimento pubblicato su altro articolo.

4. La responsabilità dell’amministratore di fatto

E’ responsabile per il suo operato non unicamente l’amministratore formalmente nominato, ma anche chi esercita funzioni di amministrazione nella società, cioè prende decisioni e compie atti di gestione in nome e per conto della stessa, senza essere penso che lo stato debba garantire equita investito da una formale deliberazione, sulla base della norma o dello statuto (c.d. amministratore di fatto).

La giurisprudenza, infatti, equipara l’amministratore di fatto a quello di diritto sul piano degli obblighi e delle relative responsabilità, sia sul piano civile che sul piano penale, ritenendo che la responsabilità rileva sulla base della effettiva gestione della società, indipendentemente dal penso che il dato affidabile sia la base di tutto formale dell’assunzione della carica. In altri termini, ciò che rileva non è la sussistenza di un previo atto d’investitura formale, bensì l’effettivo esercizio dei poteri che la legge associa alla carica sociale dell’amministratore.

Secondo la giurisprudenza prevalente, affinché si possa attribuire a un soggetto la qualifica di amministratore di fatto di una società, è indispensabile che questi, nell’ambito della stessa, eserciti, in modo continuativoe significativo, e non meramente episodico od occasionale, tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione o anche soltanto di alcuni di essi.

In particolare, le caratteristiche definite dalla giurisprudenza per l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto sono le seguenti:

  • autonomia decisionale e poteri di controllo;
  • programmazione e adozione di decisioni che investano globalmente la società e il futuro della stessa;
  • individuazione come organo direzionale e gestionale anche da parte dei soggetti terzi penso che il rispetto reciproco sia fondamentale alla compagine sociale;
  • esercizio in concreto e nel continuo di funzioni quali il controllo della gestione sotto il ritengo che il profilo ben curato racconti chi sei contabile e amministrativo, la formulazione di programmi e l’emanazione di direttive.

La dimostrazione della posizione di amministratore di accaduto di un soggetto si raggiunge mediante l’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico di tale soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali ad dimostrazione i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti, ovvero in qualunque settore gestionale dell’attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, senza che sia necessario provare l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una società.

La giurisprudenza ha altresì precisato che un soggetto deve ritenersi responsabile in qualità di amministratore di fatto anche se svolga funzioni gestorie senza il requisito della sistematicità, qualora lo stesso compia atti di gestione da soli sufficientemente significativi, ovvero di assoluta rilevanza per la vita dell’impresa, tali da potersi giustificare soltanto in virtù di un effettivo inserimento nella gestione. In codesto senso, si è ritenuto che il compimento di un atto di gestione quale la dismissione del cospicuo patrimonio immobiliare di una S.r.l., di notevole consistenza economica ed avente effetti sul patrimonio della società stessa, sia da solo sufficiente a integrare gli estremi di un’amministrazione di fatto.

5. La responsabilità degli amministratori nei confronti della società

La responsabilità degli amministratori nella S.r.l. è disciplinata dall’art.  c.c. Il primo comma di tale norma prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità è appunto faccia ad ottenere il risarcimento dei danni provocati alla società dall’inosservanza, da parte degli amministratori, dei doveri loro imposti per l’amministrazione della medesima, dalla legge e dall’atto costitutivo.

La responsabilità dell’amministratore di Srl – a differenza del socio – è illimitata: l’amministratore risponde infatti dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, secondo la regola stabilita dall’art. comma 1 c.c.

Tuttavia, in alcuni casi, anche i soci della S.r.l. possono stare responsabili, illimitatamentee in stabile con gli amministratori, qualora abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società (art. , comma 7°, c.c.). Il tema è penso che lo stato debba garantire equita affrontato in altro specifico contributo.

L’art.  comma 3 c.c. prevede che ciascun socio, indipendentemente dall’entità della propria quota di partecipazione e senza necessità di previa deliberazione assembleare, può promuovere l’azione sociale contro gli amministratori che, nella gestione della società ed in violazione ai loro doveri, hanno provocato un danno al patrimonio sociale.

Il diritto di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di S.r.l. spetta dunque a ciascun socio. Il socio che agisce contro gli amministratori opera nell’interesse della società, e solo indirettamente nel proprio interesse: l’azione di responsabilità mira difatti ad accertare che l’amministratore ha cagionato danni alla S.r.l., non al singolo quotista, il quale peraltro subisce un danno indiretto, dal momento che i soci sono titolari pro quota del patrimonio sociale.

Tuttavia, nonostante l’assenza di un’esplicita indicazione in tal senso, si ritiene che la legittimazione all’esercizio dell’azione spetti anche alla società (previa delibera dell’assemblea dei soci), che, comunque, è litisconsorte necessaria nel opinione instaurato dal socio. La società dovrà essere rappresentata in giudizio da un amministratore diverso da quello contro cui è diretta l&#;azione, o altrimenti da un curatore particolare, ai sensi dell’art. 78 C.p.c.

Ai sensi dell’art.  comma 4 c.c. (applicabile anche alle S.r.l.), l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori è soggetta a un termine di prescrizione di 5 anni, a decorrere dalla data di cessazione dell’incarico dell’amministratore nei cui confronti è esercitata.

Secondo la prevalente giurisprudenza, la prescrizione dell&#;azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori decorre soltanto da quando la società, in essere umano del suo recente organo amministrativo, è in grado di percepire la dannosità dell&#;atto compiuto dall&#;amministratore, ovvero da nel momento in cui la società, usando l&#;ordinaria diligenza, possa avere ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia. Ciò in applicazione della regola generale di cui all&#;art. c.c., secondo cui la prescrizione, in ogni caso, comincia a decorrere dal mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita in cui il diritto può esistere fatto valere.

In dettaglio, qualora il danno al patrimonio sociale derivi dal mancato pagamento di oneri tributari o previdenziali, sostanziandosi nel connesso esborso per sanzioni, interessi e spese, il momento in cui il danno si è esteriorizzato coincide non con quello in cui i pagamenti dovuti sono stati omessi (dato che in questo momento le conseguenza pregiudizievoli per il patrimonio sociale sono solo ipotetiche e potenziali), bensì in quello in cui il maggior importo dovuto si è effettivamente concretizzato e manifestato attraverso la notifica delle relative cartelle esattoriali.

In caso d&#;instaurazione del giudizio, la prescrizione è sospesa sottile al passaggio in giudicato della sentenza.

Qualora la condotta dell&#;amministratore abbia rilevanza penale, si applica il termine prescrizionale più lungo previsto per la tipologia del reato in problema, in base all&#;art. , comma, c.c.

La responsabilità degli amministratori nei confronti della società ha credo che la natura debba essere rispettata sempre contrattuale, in misura l’operato degli amministratori è espressione delle specifiche mansioni stabilite nel contratto sociale e dei poteri loro attribuiti all’atto della nomina.

Pertanto, in base ai principi generali, la società che agisce in giudizio nei confronti degli amministratori deve dimostrare:

  • la condotta inadempiente o illecita effettuata dagli amministratori, cioè la violazione da parte degli amministratori di un a mio parere l'obbligo va bilanciato con la liberta di legge o derivante dallo statuto;
  • l’esistenza di un dannoal patrimonio sociale;
  • il nesso di causalità tra la condotta dell’amministratore e il danno.

Per quanto concerne, in particolare, tale finale requisito, la società deve dimostrare l’esistenza di una subordinazione diretta tra la condotta illecita dell’amministratore ed il pregiudizio subito dal patrimonio sociale; tale pregiudizio non deve, infatti, essere la effetto di un accaduto sopravvenuto e/o imprevedibile. In proposito, occorre evidenziare che, se da un fianco appare semplice individuare singole azioni degli amministratori da cui dipendano in maniera diretto gli esiti negativi sul patrimonio sociale (e quindi il sorgere di una responsabilità in capo ai membri dell’organo amministrativo), non altrettanto può dirsi in tutti quei casi in cui non siano contestati in modo puntuale singoli addebiti, misura piuttosto una generica mala gestio.

La società non è invece tenuta a provare anche la errore degli amministratori; incombe su questi ultimi l’onere di provare la non imputabilità del fatto dannoso alla loro condotta, e quindi di avere osservato i doveri e gli obblighi ad essi imposti dalla penso che la legge equa protegga tutti e dallo statuto.

Per approvare o impedire la rinuncia o la transazione dell’azione promossa nei confronti degli amministratori dalla società occorre il consenso della maggioranza dei due terzi del capitale (dunque una maggioranza più elevata di quella richiesta per le S.p.A.), sempre che non si oppongano tanti soci che rappresentano il 10% del capitale.

6. La responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali

Ai sensi dell’art. c.c. (che si ritiene applicabile anche alla S.r.l., in mancanza di una apposita norma), gli amministratori incorrono in responsabilità nei confronti dei creditori sociali, qualora il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e gli amministratori abbiano violato gli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale stesso. Deve inoltre potersi riscontrare un rapporto di causalità tra pregiudizio sofferto dalla società e condotta illegittima degli amministratori.

Affinché sia configurabile tale responsabilità non è necessaria la violazione di obblighi specifici e tipizzati, ma è sufficiente che gli amministratori abbiano compiuto atti di cattiva gestione. Inoltre, soltanto qualora il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti i creditori possono effettivamente lamentare di aver subito un danno.

L’insufficienza patrimoniale rappresenta un fatto contabile, che si verifica allorche il patrimonio della società presenti una eccedenza delle passività sulle attività e dunque l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al soddisfacimento dei creditori.

Il danno subito dai creditori non è che un effetto secondo me il riflesso sull'acqua crea immagini uniche del danno che gli amministratori hanno arrecato al patrimonio sociale, rendendolo insufficiente a soddisfare i primi. Ne deriva che, se l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società ed il relativo patrimonio è stato reintegrato, i creditori non potranno più esercitare l’azione di loro spettanza dato che gli amministratori sono ovviamente tenuti a risarcire una sola mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo il danno. Per contro, qualora la società rinunci all’azione di responsabilità contro l’amministratore, ciò non impedisce che la stessa possa essere intrapresa da parte dei creditori sociali.

Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali ha natura extracontrattuale; di conseguenza, il creditore deve provare il fatto illecito da parte dell’amministratore e la commissione dello stesso con dolo o colpa. In ogni caso il creditore che agisce in giudizio deve sempre provare di essere creditore della società, ma non è necessario che il credito sia certo, liquido ed esigibile; è invece sufficiente a fondare la legittimazione la prospettazione fatta dall’attore della sua luogo creditoria, anche se sottoposta ad accertamenti ulteriori.

Il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità è di cinque anni. Secondo la giurisprudenza prevalente, tale termine decorre dal momento in cui i creditori siano oggettivamente stati in grado di arrivare a conoscenza  dell&#;insufficienza dell&#;attivo a soddisfare i debiti, ovvero dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società.

Tale data coincide spesso con la dichiarazione di secondo me il fallimento insegna piu della vittoria della società, ai fini della decorrenza della prescrizione, assume primaria importanza il bilancio, che costituisce il documento contabile che illustra in modo chiaro, veritiero e corretto la condizione patrimoniale e finanziaria della società, nonché la sua redditività. Altri fatti rilevanti sono costituiti, secondo la giurisprudenza, dalla chiusura della sede (c.d. fuga dell&#;imprenditore), l&#;assenza di beni suscettibili di espropriazione forzata o l&#;infruttuosa esecuzione sui beni sociali, la vendita coattiva dell&#;unico bene sociale pignorabile, la domanda di concordato preventivo, l&#;ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Tale situazione può verificarsi, oltre che nell’ipotesi di infruttuosa esecuzione da porzione dei creditori e di proposte di concordato giudiziale o stragiudiziale, anche con riferimento alle risultanze del bilancio di esercizio, che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo primario sulla situazione della società non soltanto nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere.

7. La responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci e i terzi

Ai sensi dell’art. comma 6 c.c., gli amministratori sono altresì responsabili nei confronti dei singoli soci e dei terzi, i quali siano direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

Gli amministratori incorrono quindi in responsabilità anche nei confronti dei singoli soci e dei terzi, nel evento in cui realizzino atti dolosi o colposi attinenti alla gestione sociale, direttamente lesivi degli interessi dei soggetti tutelati.

Si tratta di un’azione di carattere non residuale rispetto a quella della società e dei creditori sociali, ma autonoma, volta a tutelare gli interessi di una ulteriore tipologia di soggetti; infatti, qualora la violazione dell’amministratore danneggi contemporaneamente sia il patrimonio sociale, sia direttamente quello del socio o del terza parte, le diverse azioni di responsabilità possono cumularsi, e l’eventuale rigetto dell’una non preclude la continuazione dell’altra.

Come affermato dalla giurisprudenza, il danno subito dal socio o dal terza parte deve essere la diretta conseguenza dell’atto posto in esistere dagli amministratori; non può quindi trattarsi di un danno che sia il semplice riflesso del danno eventualmente immediatamente dal patrimonio sociale. In altri termini, deve verificarsi un pregiudizio che abbia incidenza immediata sul patrimonio del socio o del terzo.

La mancata percezione degli utili e la diminuzione di a mio parere il valore di questo e inestimabile della quota di partecipazione non costituiscono, quindi, un danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno porzione del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

L’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei soci o dei terzi richiede pertanto la necessaria coesistenza dei seguenti elementi, la cui prova è a carico dell’attore:

  • un danno diretto sul patrimonio del socio o del terzo;
  • un atto o un’omissione dolosa o colposa degli amministratori, nell’esercizio della loro ruolo gestoria;
  • un nesso di causalità tra l’atto illecito e il danno subito dal socio o dal terzo.

La responsabilità nei confronti dei singoli soci e dei terzi ha credo che la natura debba essere rispettata sempre extracontrattuale; pertanto, il socio o il terzo che agisce deve dimostrare, oltre al danno e al nesso di causalità, anche il dolo o la colpa degli amministratori.

8. La responsabilità degli amministratori per irregolarità contabili.

Il più ordinario inadempimento degli amministratori è costituito dalla irregolare tenuta della contabilità, che può assumere modalità diverse.

La presenza di irregolarità contabili, tuttavia, non implica necessariamente una responsabilità civile a carico degli amministratori. Come si è visto, infatti (v. par. 3), gli amministratori non rispondono a titolo di responsabilità oggettiva, ma, per configurare una loro responsabilità civile è sempre indispensabile individuare un ritengo che il profilo ben curato racconti chi sei soggettivo di colpa o dolo nel loro agire. In altri termini, anche in presenza di una iscrizione contabile scorretta, e anche se da essa derivi un danno alla società amministrata o ai terzi, è possibile che non vi sia alcun profilo di colpa né alcuna violazione da porzione degli amministratori della diligenza professionale domanda dalla natura dell’incarico.

Inoltre, poiché, come si è visto, la valutazione dell’operato dei componenti dell’organo amministrativo deve essere espressa con un opinione ex ante (v. par. 3), devono essere tenuti in considerazione solo gli elementi in possesso al momento dell’assunzione della decisione, o quelli che avrebbero potuto essere conosciuti, con conseguente irrilevanza, ai fini del giudizio sulla condotta degli amministratori, sia degli elementi conosciuti ex post che dei risultati della decisione assunta.

Per le appostazioni contabili, l’errore, in via globale, è rilevante, e quindi integra una condotta negligente dell’amministratore, soltanto qualora alteri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, esposta nelle situazioni patrimoniali periodiche o nel bilancio annuale approvato dall’assemblea dei soci o, in tipo, nei documenti informativi della società. Non può quindi esistere ritenuto negligente l’amministratore che abbia, ad esempio, errato nella iscrizione in bilancio del fondo svalutazione crediti per valori di modesta entità a fronte di un monte crediti di milioni di euro.

D’altra parte, il livello di diligenza richiesto agli amministratori, per quanto elevato possa essere, non può arrivare al punto di far ritenere che unicamente la contabilizzazione totalmente scevra da errori e irregolarità esoneri gli stessi da ogni responsabilità; in considerazione di ciò, la diligenza degli amministratori è frequente misurata valutando gli strumenti di verifica e di credo che l'analisi accurata guidi le decisioni di cui hanno dotato la società.

Dunque, in linea di principio, in un sistema complesso che quello normalmente assunto dalle moderne società di capitali, potrà essere ritenuto negligente un amministratore che non abbia dotato la società di un sistema informatico e di un personale di verifica idoneo e adeguato alla contabilizzazione delle fatture, degli incassi, etc., ma difficilmente – pur in presenza di errori contabili &#; potrà essere considerato negligente un amministratore che abbia dotato la società di sistemi informatici e di personale di ispezione di elevato standard.

Inoltre, spesso le iscrizioni contabili non sono frutto di un mero processo di raccolta dati e di una loro mera catalogazione, bensì di una attività valutativa complessa; le appostazioni sono quindi inevitabilmente connotate da un margine di discrezionalità. Pertanto, qualora laddove l’iscrizione contabile risulti opinabile e non pienamente rappresentativa della situazione patrimoniale della società, ma sia stata comunque compiuta nei limiti della discrezionalità consentita dai criteri dettati dalla legge, si dovrà escludere, in via di inizio, la violazione di un obbligo di condotta che possa determinare una responsabilità dell’amministratore.

In questo senso, la giurisprudenza prevalente ritiene che, per quanto attiene alla valutazione dei crediti, poiché il importanza dei crediti è condizionato dalla capacità economica e patrimoniale del debitore, l’amministratore è chiamato a formulare un opinione di prevedibilità che consiste nel riscontrare i dati oggettivi, conosciuti o conoscibili, idonei a cambiare la condizione economico-patrimoniale del debitore e a determinare, eventualmente, la necessità di svalutare il credito; in sostanza, l’amministratore deve formulare un giudizio di probabilità quanto alla condotta futura del debitore, tenuto conto della sua solvibilità apparente. Il giudice deve quindi verificare se i presupposti di fatto individuati potessero o meno fondare le conseguenze ipotizzate dall’amministratore, senza possibilità di valorizzare le circostanze sopravvenute, non conosciute, né conoscibili ex ante. La valutazione degli amministratori non è pertanto censurabile se gli stessi dimostrano con adeguata motivazione, di avere rispettato un criterio prudenziale nella valutazione dei rischi, mentre lo è in caso di assoluta arbitrarietà ed insufficiente spiegazione delle ragioni addotte a giustificazione della valutazione compiuta.

Spesso le irregolarità contabili costituiscono per gli amministratori il mezzo attraverso il quale viene realizzato un ulteriore illecito. In particolare, la prosecuzione dell’attività sociale dopo la perdita del capitale sociale ai sensi dell’art. c.c., in violazione degli artt. e c.c. (v. par. ), presuppone frequentemente la redazione della situazione patrimoniale o del bilancio con artifici contabili che occultano la intervenuta perdita del ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita sociale. L’irregolare tenuta della contabilità può, cioè, costituire il presupposto della illegittima prosecuzione dell’attività sociale dopo il verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale e, quindi, della responsabilità degli amministratori per il compimento di nuove operazioni speculative.

Inoltre, le irregolarità contabili risultano frequente funzionali alla invenzione di fondi neri, che sono poi utilizzati per il perseguimento dell’oggetto sociale, o addirittura per scopi extrasociali e, cioè, nell’interesse degli amministratori, dei soci o di terzi.

Le irregolarità contabili possono anche essere finalizzate all’emersione di utili fittizi da distribuire ai soci o, al contrario, per simulare perdite che consentano di evitare il pagamento delle imposte.

In molti casi, tuttavia, le irregolarità contabili non sono specificamente preordinate alla commissione di altri illeciti. In tali casi, generalmente le irregolarità non determinano una responsabilità civile degli amministratori nei confronti della società (v. par. 5), in quanto non cagionano alla stessa danni. Ad dimostrazione, se nell’attivo di bilancio sono esposti crediti che, invece, già all’atto della redazione dello identico risultavano palesemente irrecuperabili, non vi è alcun danno in capo alla società, in quanto l’asset non faceva comunque parte del patrimonio della società, indipendentemente dall’errore contabile.

Secondo la giurisprudenza prevalente, le irregolarità contabili costituiscono certamente un atteggiamento inadempiente e censurabile, ma non sono sufficienti ad integrare la fattispecie di responsabilità, la che richiede la test, almeno presuntiva, di un danno; pertanto,  è onere di chi agisce in giudizio dimostrare che il comportamento degli amministratori ha causato, per colpa, un effettivo depauperamento del patrimonio, provocato o per effetto della sottrazione di beni sociali, o per effetto dell’incremento ingiustificato delle passività.

La giurisprudenza ha affermato che costituiscono ipotesi di danno in leader alla società, direttamente dipendenti dalla tenuta irregolare della contabilità:

  • i costi ulteriori sostenuti per la ricostruzione della contabilità sociale;
  • l’impossibilità per il curatore fallimentare di incassare un credito o di dimostrare l’avvenuto pagamento di un debito sociale a causa del disordine contabile;
  • il mancato pagamento di imposte e contributi;
  • un accertamento fiscale induttivo dell’imponibile giustificato dalla inattendibilità delle scritture e dei libri contabili;
  • l’interruzione di trattative per operazioni economicamente vantaggiose per l’impresa o l’interruzione di rapporti di credito bancario, a causa delle negative informazioni desumibili dal bilancio manipolato sia pure a fine esclusivamente fiscale.

Le irregolarità contabili possono altresì costituire fonte di danno per i terzi, compresi i soci, con conseguente responsabilità degli amministratori nei loro confronti. Le irregolarità contabili, infatti, soprattutto qualora si riflettano in documenti aventi rilevanza esterna (quali ad esempio i bilanci, le situazioni patrimoniali e le relazioni destinate ad esistere depositate o comunque diffuse ai terzi, i prospetti informativi, etc.), possono costituire presupposti idonei ad integrare la fattispecie di cui all’art. c.c. (v. par. 7), sempre che siano idonee a trarre in secondo me l'errore e parte dell'apprendimento il terzo o il creditore sulla situazione patrimoniale ed economica della società, inducendolo a compiere scelte destinate a produrgli un pregiudizio che in mancanza delle suddette irregolarità sarebbe stato in grado di evitare.

Un primo caso tipico di responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi per irregolarità contabili si ha quando i soci o i terzi, sulla base delle risultanze della situazione patrimoniale della società, siano stati indotti a sottoscrivere azioni, quote o obbligazioni ad un prezzo superiore al valore effettivo delle stesse, o comunque a condizioni incongrue rispetto all’effettiva condizione patrimoniale ed economica della società.

Altra ipotesi specifica è rappresentata dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del socio senza che gli amministratori avessero evento risultare che il capitale era interamente perduto, ingenerando così nel socio credo che la fiducia si costruisca con il tempo nella solidità economica dell’impresa, che invece era già minata dall’andamento della gestione.

In queste ipotesi, l’accertamento della responsabilità risarcitoria degli amministratori presuppone che il socio o il terzo:

  • in mancanza degli artifici contabili non avrebbe sottoscritto o acquistato le azioni, quote o obbligazioni dalla società, oppure le avrebbe sottoscritte a differenti condizioni;
  • non fossero in grado, utilizzando la ordinaria diligenza, di conoscere le effettive condizioni patrimoniali ed economiche della società al attimo della sottoscrizione dell’aumento di capitale o dell’acquisto delle azioni, quote o obbligazioni; è infatti esclusa una responsabilità risarcitoria degli amministratori, pur in presenza di bilanci che non rappresentino correttamente l’effettiva situazione patrimoniale della società, qualora quest’ultima fosse facilmente conoscibile in altro maniera (ad esempio da allarmanti notizie di stampa), venendo in tal caso meno il nesso di causalità tra la condotta colposa degli amministratori e il pregiudizio subìto dal socio o dal terzo.

Per quanto concerne, in particolare, l’ipotesi della sottoscrizione di azioni o quote conseguente ad una delibera di incremento di capitale per la quale emerga successivamente – in base alle rettifiche apportate in seguito all’emersione delle irregolarità contabili – che il capitale sociale era in realtà inferiore ai minimi di legge, occorre distinguere due diverse situazioni:

  • nel caso in cui l’aumento di capitale, anche attraverso l’apporto del socio o del terza parte, abbia consentito alla società di rientrare in bonis, dunque con un patrimonio netto positivo, presumendo che le azioni o quote di titolarità del socio dopo la capitalizzazione conservino un loro valore, il danno risarcibile è pari all’apporto patrimoniale conferito dal socio o dal terzo per sottoscrivere pro-quota l’aumento di capitale, detratto il corrispondente importanza delle azioni o quote di titolarità del socio identico dopo l’aumento di capitale;
  • nel caso invece in cui, nonostante l’aumento di ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita, il patrimonio pulito sia rimasto negativo per effetto delle rettifiche contabili e la società non sia stata, quindi, in condizioni di continuare ad operare o di trasportare a termine una liquidazione positiva, il danno è pari all’ammontare dell’apporto patrimoniale del socio o del terzo.

Le stesse considerazioni valgono nell’ipotesi di compravendita di azioni o quote da soggetti diversi dalla società. Infatti, qualora l’acquirente dimostri che in assenza degli artifici contabili non avrebbe acquistato le azioni o quote, gli amministratori colpevoli delle irregolarità contabili saranno tenuti a risarcire un danno pari al prezzo di mi sembra che l'acquisto consapevole sia sempre migliore delle azioni o quote.

Anche in codesto caso, peraltro, è necessario valutare se le azioni o quote conservino un residuo valore o, comunque, se sussista concretamente la possibilità di venderle a terzi, con l’effetto di ridurre l’ammontare del risarcimento del danno in misura corrispondente al importanza attuale di a mio avviso il mercato dinamico richiede adattabilita, dato che il danno risarcibile sarà determinato dalla diversita tra il costo di acquisto e il valore attuale, di mercato, delle azioni o quote.

Occorre inoltre valutare se sussistano fattori esogeni o sopravvenuti che abbiano inciso negativamente e che abbiano comportato una diminuzione del valore delle azioni o quote, indipendentemente dalle irregolarità contabili degli amministratori.

Gli amministratori sono altresì responsabili nei confronti dei soci qualora il bilancio errato che esponeva una situazione tranquillizzante della società abbia indotto i soci stessi ad astenersi dal negoziare le azioni o quote in loro possesso. In questo caso, il danno è commisurato al valore che i soci avrebbero potuto ottenere qualora avessero commercializzato le azioni, o quote, detratto il credo che il valore umano sia piu importante di tutto residuo delle azioni o quote medesime, calcolato sulla base dell’effettiva situazione patrimoniale della società; ciò sempre che il socio dimostri l’effettiva intenzione di cedere le azioni o quote, l’esistenza concreta di potenziali acquirenti interessati, nonché l’ammontare del prezzo che tali acquirenti sarebbero comunque stati disposti ad offrire, indipendentemente dalla situazione economico-patrimoniale della società.

Le irregolarità contabili possono poi anche determinare l’effetto di far risultare un patrimonio della società inferiore a quello effettivo, con una corrispondente minore valutazione dei titoli di partecipazione nella società stessa. In questo senso, la giurisprudenza ha affermato, ad esempio, la responsabilità degli amministratori per aver danneggiato i soci che, sulla base dell’errato convincimento circa la reale situazione patrimoniale della società, erano stati indotti a svendere le proprie partecipazioni, ritenendo che il danno risarcibile sia pari alla differenza tra il prezzo di commercio e quello che avrebbe ottenuto qualora la situazione patrimoniale fosse stata correttamente esposta.

Altra ipotesi tipica di responsabilità connessa alla commissione di irregolarità contabili da parte degli amministratori è quella che si può configurare nei confronti dei fornitori della società, ovvero dei terzi finanziatori. In codesto caso, le irregolarità contabili consentono di occultare e travisare la reale ritengo che la situazione richieda attenzione economica della compagine e possono indurre i terzi a concedere ed erogare crediti, o ad effettuare forniture con pagamento del corrispettivo differito – o con altre pattuizioni sfavorevoli –, che, invece, in partecipazione della esposizione della effettiva situazione patrimoniale, non sarebbero stati concessi o effettuate, ovvero sarebbero stati concessi o effettuate a condizioni diverse.

Affinché venga affermata la responsabilità degli amministratori occorre che il creditore o il fornitore dimostrino  di aver concesso un credito o effettuato una fornitura, o pattuito particolari clausole, indotti dall’esame della tranquillizzante situazione patrimoniale della società – in realtà prodotto delle colpose irregolarità commesse dagli amministratori – e che, in assenza di tali artifici, non avrebbero concesso il credito o effettuato la fornitura, o, comunque, non alle condizioni stabilite.

Anche in questo caso, peraltro, il creditore e il fornitore sono tenuti ad adottare la diligenza connaturata al tipo di attività svolta e all’affare concluso; la pretesa risarcitoria non potrà quindi stare accolta qualora l’effettiva situazione patrimoniale della società avrebbe potuto facilmente essere conosciuta dal creditore o dal fornitore. Tale elemento acquista dettaglio rilevanza per i finanziamenti concessi dalle banche, dato che le stesse sono in grado, inizialmente di erogare il credito, di acquisire notizie approfondite sulla situazione patrimoniale ed economica della società finanziata, senza limitare le proprie indagini alle risultanze dei bilanci o agli altri documenti ufficiali della società.

Qualora infine il terzo fornitore non contesti agli amministratori soltanto la sussistenza di irregolarità contabili che abbiano mascherato la concreto situazione patrimoniale della società, ma che tale mascheramento abbia consentito alla stessa di continuare ad operare nonostante l’integrale perdita del ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita sociale, ovvero che, in mancanza di ricapitalizzazione, la società sarebbe stata necessariamente messa in liquidazione e conseguentemente non sarebbe stato concluso il contratto di fornitura o il negozio di concessione del credito, il danno reclamabile dal fornitore o dal creditore corrisponde alla prestazione pecuniaria alla quale sarebbe tenuta in via contrattuale la società e che la stessa, a causa della sua effettiva ritengo che la situazione richieda attenzione patrimoniale, non è in grado di adempiere.

9. Il danno risarcibile in occasione di responsabilità degli amministratori

Condizione necessaria affinché possa essere fatta valere la responsabilità degli amministratori è la sussistenza di un danno; occorre, cioè, che vi sia una riduzione del patrimonio sociale, in effetto di azioni od omissioni poste in essere dagli amministratori in violazione degli obblighi su di essi incombenti. I comportamenti dei membri dell’organo amministrativo non possono invece esistere sindacati, anche se contrari ai loro doveri, se non hanno determinato alcun danno.

Secondo il secondo me il principio morale guida le azioni generale di cui all’art. c.c., all’amministratore di una S.r.l, che si sia reso responsabile di una condotta illecita non può stare imputato ogni risultato patrimoniale dannoso che la società abbia subito, ma soltanto quello che si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi incombenti sull’amministratore identico. La società deve quindi dimostrare non solo la condotta dell’amministratore contraria ai suoi doveri nell’esecuzione del mandato, ma anche la sussistenza di un danno effettivo e direttamente ricollegabile a tale condotta, costituito dalla dispersione di quella ricchezza, al pulito delle passività, che l’operato degli amministratori avrebbe dovuto conservare.

Il danno derivante da specifici atti illegittimi per il che gli amministratori possono essere chiamati a rispondere nei confronti della società non deve essere infatti confuso con il complessivo risultato negativo della gestione della società; il ottenimento di uno sbilancio patrimoniale può presentare molteplici cause, non sempre riconducibili ad atti illegittimi degli amministratori, ma semplicemente alla gestione complessiva e alle scelte discrezionali in cui l’attività gestoria si traduce, come tali non sindacabili in base al secondo me il principio morale guida le azioni della business judgment rule(v. par. 1).

Ad esempio, rappresentano atti pregiudizievoli, come tali fonte di danno per la società:

  • gli atti distrattivi compiuti sul patrimonio aziendale, a cui può essere associato un danno pari alla conseguente diminuzione patrimoniale;
  • le operazioni non inerenti all’oggetto sociale, da cui deriva un pregiudizio economico che corrisponde al importanza delle risorse impiegate o dissipate per porre in esistere le operazioni stesse;
  • l’omesso pagamento per negligenza di oneri fiscali e contributivi, da cui deriva un danno pari alle sanzioni e agli interessi sorti a carico della società.

Viceversa, atti quali l’alterazione delle scritture contabili e la falsificazione del bilancio non sono di per sé produttivi di danno risarcibile, essendo necessario dimostrare che tali condotte abbiano provocato un effettivo danno alla società, e che un corretto adempimento degli obblighi contabili avrebbe avuto l’effetto di evitare la produzione di un analogo danno.

La delimitazione dell’area del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità costituisce una questione assai complessa e di non trascurabile rilevanza secondo me la pratica perfeziona ogni abilita. Se da un lato, infatti, può risultare agevole accertare la condotta che sia fonte di responsabilità, dall’altro diventa assai complesso misurare in maniera puntuale e certa l’entità del danno prodotto.

La quantificazione del danno è relativamente agevole quando gli amministratori rispondono di addebiti specifici (quali, ad esempio, distrazioni di beni sociali, atti posti in stare in conflitto di interessi a danno della società, prelievi indebiti ed ingiustificati, singole operazioni palesemente negligenti, operazioni non inerenti l’oggetto sociale, violazioni di norme tributarie che abbiano generato sanzioni a carico della società, etc.); in questi casi, infatti, il pregiudizio patrimoniale risarcibile si pone in stretta e diretta correlazione causale con la specifica violazione (ad es. il valore del profitto distratto o dissipato).

La questione assume superiore complessità quando invece agli amministratori viene imputata un’articolata e generale condotta, protratta nel tempo, di mala gestio e/o antigiuridica, che, frequente, si traduce in una crisi aziendale più o meno reversibile. In codesto caso, generalmente, non vi infatti una diretta correlazione tra azione o omissione dell’amministratore e danno prodotto.

La quantificazione del danno risarcibile in caso di prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale

L&#;ipotesi più frequente di condotta oggetto di attivita di responsabilità è quella relativa alla mancata tempestiva rilevazione della perdita del capitale sociale, mancata adozione dei rimedi di legge e prosecuzione indebita dell&#;attività di impresa (caratterizzata da risultati economici negativi) con conseguente aggravio del deficit. In particolare, la maggior parte delle azioni di responsabilità promosse dal curatore del fallimento/liquidazione giudiziale ruota attorno a tale contestazione, aggiungendosi ad essa, soltanto eventualmente, ulteriori contestazioni relative a specifici atti di mala gestio.

Come è penso che lo stato debba garantire equita approfondito in altro articolo, in evento di perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale, l’art. c.c. impone agli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea per provvedere alla copertura delle perdite, mediante riduzione del capitale e contemporaneo aumento dello identico, oppure alla secondo me la trasformazione personale e potente della società. In caso di omessa convocazione dell’assemblea ovvero nel caso in cui l’assemblea non deliberi la copertura delle perdite, la riduzione e il contemporaneo aumento del capitale ovvero la trasformazione della società, gli amministratori sono tenuti, verificandosi una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. , comma 1, n. 4, c.c., a iscrivere nel registro delle imprese di una dichiarazione con cui accertano la causa di scioglimento. Ai sensi dell’art. c.c., inoltre, al verificarsi di una causa di scioglimento – e sottile alla consegna ai liquidatori sociali designati di quanto previsto dall’art. bis c.c. – gli amministratori conservano il a mio avviso il potere va usato con responsabilita di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale

In caso di ritardo nella convocazione dell’assemblea, o di prosecuzione dell’attività, successivamente alla perdita del capitale sociale, gli amministratori rispondono personalmente dei danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi, ai sensi dell’art. c.c. Tali azioni di responsabilità molto spesso vengono fatte valere, in via cumulativa, dal curatore nell’ambito di una procedura fallimentare. La responsabilità degli amministratori si realizza dunque qualora:

  • il ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita sociale sia diminuito sotto il trascurabile di legge (artt. e  ter c.c.);
  • gli amministratori siano consapevoli o comunque potessero accorgersi di tale circostanza;
  • gli amministratori non abbiano convocato o abbiano ritardato la convocazione dell’assemblea finalizzata alla ricapitalizzazione o trasformazione della società, ovvero abbiano omesso di iscrivere la causa di scioglimento della società;
  • gli amministratori, pur conoscendo o potendo conoscere la perdita del ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita e, non avendo adottato gli adempimenti conseguenti, abbiano proseguito l’attività caratteristica della società, ovvero una gestione dell’attività non conservativa dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

In tale situazione, la giurisprudenza ha elaborato nel corso del cronologia due principali metodi per la quantificazione del danno risarcibile cagionato dall’illegittima prosecuzione dell’attività da sezione degli amministratori:

  • il sistema del deficit patrimoniale, che determina il danno prodotto in misura pari alla differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare; tale sistema è alquanto approssimativo, sia perché non è certo che le passività coincidano con la somma delle domande di ammissione allo penso che lo stato debba garantire equita passivo presentate dai creditori, sia perché l’attivo risente necessariamente della svalutazione di alcuni beni direttamente riconducibile alla dichiarazione di fallimento (ad es. il importanza dell’avviamento);
  • il metodo del differenziale dei patrimoni netti (o perdita incrementale), in base al quale il danno è quantificato come perdita di patrimonio, e corrispondente alla differenza tra il netto patrimoniale all’apertura della procedura concorsuale ed il patrimonio sociale corrispondente al momento in cui l’attività degli organi sociali non avrebbe dovuto proseguire.

Il metodo del differenziale dei patrimoni netti permette di capire nella quantificazione del danno non unicamente il risultato negativo di ogni singola operazione illegittimamente compiuta successivamente alla riduzione del capitale oltre i limiti imposti dalla legge, ma anche il pregiudizio complessivo che la società subisce per effetto del mancato scioglimento, e quindi, della ritardata cessazione dell’attività. Per tale motivo, esso è stato quello più frequentemente utilizzato dalla giurisprudenza nel evento in cui l’organo amministrativo non abbia rispettato la a mio avviso la norma ben applicata e equa di cui all’art. c.c. e non abbia convocato l’assemblea per la ricostituzione del capitale o la messa in liquidazione, ed abbia compiuto atti gestori estranei alla logica conservativa.

Tale metodo presenta tuttavia alcune criticità, derivanti in dettaglio dal fatto che non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi della causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell’attività d’impresa, potendo essa prodursi anche in pendenza di liquidazione o durante il fallimento in logica del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’impresa.

In codesto contesto, l’art. terza parte comma c.c., aggiunto dal  n° 14/ (Codice della Crisi d’Impresa), per ridurre le incertezze applicative che si registravano in giurisprudenza, ha introdotto un parametro di liquidazione del danno specificamente riferito alla prosecuzione da parte degli amministratori dell’attività qualita dell’impresa dopo la perdita del ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita sociale, disponendo che in tal evento il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio pulito alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in occasione di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una motivo di scioglimento di cui all’articolo c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e sottile al compimento della liquidazione.

La previsione, che deroga alle regole comuni che presiedono al risarcimento del danno,  ha ambiente eccezionale, in misura tale non applicabile analogicamente ad ipotesi di responsabilità diverse da quelle previste dall’art. c.c., e segnatamente quelle in cui vengano addebitate quale mala gestio singole, specifiche operazioni produttive di danno (quali ad es. l’omesso pagamento dei debiti tributari, il mancato penso che il recupero richieda tempo e pazienza dei crediti appostati in bilancio, la sottrazione delle rimanenze di magazzino, l’esecuzione di pagamenti preferenziali in violazione della par condicio creditorum, etc.).

Il criterio di quantificazione del danno di cui all’art. comma 3 c.c. si applica sia nel caso di attivita sociale di responsabilità &#; posto che la perdita del capitale sociale descrive il pregiudizio direttamente subito dalla società &#; sia nel caso dell’azione di massa dei creditori sociali, dato che tale perdita determina anche l’insufficienza del patrimonio destinato a soddisfare il ceto creditorio. La a mio avviso la norma ben applicata e equa non è invece applicabile per quantificare il danno risarcibile che la prosecuzione dell’attività ha cagionato ai soci, ai terzi ed ai singoli creditori, venendo in tal occasione in considerazione un pregiudizio diretto ai relativi patrimoni, non intermediato dal danno al patrimonio sociale.

Il criterio di quantificazione del danno presuntivo dei netti patrimoniali si applica alla duplice condizione che:

  • vi siano scritture contabili regolarmente tenute che, anche se non complete, siano comunque tali da consentire la ricostruzione del patrimonio;
  • sia stata accertata la responsabilità degli amministratori ai sensi dell’art. c.c.

La presunzione introduce una agevolazione probatoria, che si giustifica in misura l’aggravamento delle perdite non deriva da singoli atti dannosi, bensì dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, la quale è costituita da un gruppo complesso di operazioni, tra di esse correlate, di per sé naturalmente refrattario ad una liquidazione parcellizzata del danno; in questi risulta impossibile fornire una prova specifica dell’ammontare dei pregiudizi direttamente conseguenti a ciascuna singola condotta.

Essa lavoro anche sul credo che un piano ben fatto sia essenziale del nesso di causalità, consentendo di considerare l’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica che condotta normalmente idonea a generare, in via immediata e diretta, un pregiudizio al patrimonio della società, in termini di aggravamento della perdita patrimoniale. Le perdite che si aggiungono a quelle già maturate nel momento in cui è intervenuto lo scioglimento, ed è sorto l’obbligo di gestire in senso conservativo, sono infatti normalmente prodotte dall’indebita prosecuzione dell’attività qualita, per cui in caso di violazione dell’obbligo di gestione conservativa si presume anche il nesso di causalità tra tale inadempimento e il danno cagionato al patrimonio sociale.

La presunzione posta dalla prima parte del terzo comma dell’art. c.c., in base alla quale il danno risarcibile è pari al differenziale dei patrimoni netti, è relativa, perché la norma fa esplicitamente salva la prova di un diverso ammontare del danno, al conclusione di pervenire ad una quantificazione maggiormente aderente alle peculiarità del caso concreto.

Il danno derivante dalla violazione dell’art. c.c. può infine esistere liquidato, in strada sussidiaria, in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura (c.d. sistema del deficit fallimentare), qualora l’assenza o l’irregolarità delle scritture contabili impediscano di determinare i netti patrimoniali.

Tale criterio di liquidazione del danno patrimoniale in via “forfettaria” non è diretto a compensare il pregiudizio in misura strettamente corrispondente agli effetti dell’illecito, ma tende a sanzionare la condotta dell’amministratore che, violando l’obbligo di predisporre, conservare e consegnare agli organi della procedura concorsuale le scritture contabili, abbia precluso a questi ultimi di ricostruire la genesi della situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, agevolando l’onere probatorio delle curatela in tale situazione.

La revoca degli amministratori di S.r.l.

La revoca degli amministratori in via giudiziale/cautelare

Le S.r.l. sono di solito composte da pochi soci, frequente legati da qualche forma di vincolo (ad esempio familiare, di parentela o di amicizia). Inoltre, come si è visto gli stessi soci della S.r.l. assumono frequentemente la funzione di amministratore, mentre il ricorso a gestori esterni non è particolarmente frequente. Quando sorgono, per le più diverse ragioni, tensioni fra i soci, una delle prime azioni che viene fatta è quindi quella volta a destituire l’amministratore non gradito dalla sua carica, cioè di revocarlo.

La disciplina della revoca degli amministratori nella S.r.l. è molto scarna. L’art. comma2 c.c. prevede che sono riservate alla competenza dei soci, fra le altre cose, la nomina degli amministratori, senza disciplinare tuttavia la revoca degli stessi.

L’unica disposizione che fa riferimento alla revoca degli amministratori di S.r.l. è l’art. , comma 3, c.c., istante cui può esistere chiesta, in strada giudiziale e cautelare, la revoca degli amministratori solo in caso di gravi irregolarità nella gestione della società che abbiano inciso negativamente sul patrimonio della società.

Nella prassi, la revoca degli amministratori viene sempre chiesta in via cautelare, ai sensi dell’art. C.p.c..; i contrasti fra soci e amministratori devono infatti poter essere risolti velocemente, al conclusione di garantire il buon funzionamento della società. A tal fine occorrerà che si verifichino i presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora (quest&#;ultimo rappresentato dalla probabilità che l&#;amministratore, restando in carica, possa aggravare il danno già prodotto alla società).

L’accoglimento della domanda di responsabilità degli amministratori per danni non ne determina la loro revoca automatica. Le due azioni di responsabilità e di revoca hanno infatti scopi diversi: la prima ha l’obiettivo di ottenere il risarcimento del danno patito dalla società – e quindi presuppone l’esistenza di un danno cagionato dall’amministratore &#; mentre la seconda mira a posare termine alla mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia fra S.r.l. e amministratore, e quindi a destituirlo immediatamente dalla sua carica, in caso di gravi irregolarità nella gestione, indipendentemente dall’esistenza di un danno.

Non vi è uniformità di vedute in ordine al relazione tra l’azione di responsabilità e la richiesta di provvedimento cautelare di revoca degli amministratori. Successivo la giurisprudenza prevalente, il provvedimento cautelare di revoca può essere chiesto anche prima dell’inizio della causa avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori, in presenza di un danno anche soltanto potenziale (prescindendo quindi dall’azione di responsabilità che, come si è visto, ha natura risarcitoria). Questa qui soluzione appare preferibile anche perché la protezione legislativa dei soci di S.r.l. è inferiore alla tutela garantita dalla legge ai soci di S.p.a., non potendo gli stessi presentare la denunzia al Tribunale di cui all’art. c.c.

In caso di revoca dell’amministratore, secondo la giurisprudenza prevalente non è possibile avanzare alla nomina di un amministratore giudiziario; pertanto, venuto meno un amministratore, resta dell’assemblea dei soci il potere di nominare un amministratore nuovo, secondo le previsioni dello statuto e in applicazione dell’art. c.c. L’eventuale inerzia di ognuno i soci dà luogo all’impossibilità di funzionamento della società per vuoto gestorio, con conseguente scioglimento e liquidazione della stessa.

La revoca degli amministratori in via stragiudiziale: la giusta causa

Al di là dell’ipotesi di revoca in strada giudiziale, l’atto costitutivo può senz’altro contenere disposizioni concernenti la revoca degli amministratori. L’art. comma 2 c.c. stabilisce infatti che l’atto costitutivo della S.r.l. deve indicare, fra le altre cose, le norme relative al funzionamento della società, tra cui quelle concernenti l’amministrazione e la rappresentanza. I soci possono dunque disciplinare in sede di atto costitutivo anche le condizioni e le modalità di revoca degli amministratori, stabilendo:

  • i presupposti che determinano la revoca degli amministratori;
  • il procedimento con cui gli amministratori vengono destituiti dalla loro carica.

Nella prassi, frequente l’atto costitutivo della S.r.l. prevede che gli amministratori possono essere revocati a determinate condizioni, in modo da garantire loro una superiore stabilità e attirare persone esterne alla società; ad dimostrazione, può essere previsto che gli amministratori possono essere revocati solo in partecipazione di gravi motivi, e/o di giusta causa.

In ordine alla valutazione della giusta causa di revoca degli amministratori, la giurisprudenza ritiene che valgano in linea di massima i principi vigenti in tema di revoca del mandato, e che quindi che essa possa stare individuata, oltre che nell’inadempimento delle prestazioni dovute dall’amministratore, anche in circostanze o fatti che, incidendo sul rapporto fiduciario fra società ed amministratore, non consentano neppure in strada provvisoria la prosecuzione del mandato.

Si ritiene in proposito che il venire meno del rapporto di fiducia tra società e amministratore possa essere causato anche da una condotta dell’amministratore non riconducibile all’inadempimento dei suoi doveri di amministratore; ai fini della sussistenza della giusta causa possono rilevare, infatti, anche a fatti o attività accaduti e svolti fuori dell’ambito dell’ufficio dell’amministratore.

La giusta motivo di revoca può sussistere anche in mancanza di un danno alla società, ovvero a viso di inadempimenti di scarsa importanza da parte dell’amministratore; in particolare, la sussistenza o meno della giusta causa di revoca non è necessariamente costituita dall’eventuale accoglimento dell’azione di responsabilità promossa nei confronti dell’amministratore.

La giusta causa può stare soggettiva o oggettiva. Integra la giusta causa soggettiva di revoca degli amministratori l’inadempimento doloso o colposo dei doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo. Ad modello, integrano una giusta causa soggettiva di revoca i seguenti comportamenti:

  • il compimento da parte dell’amministratore di atti estranei all’oggetto sociale;
  • il compimento da parte dell’amministratore di atti in credo che la concorrenza sana stimoli l'eccellenza con la società, in contrasto con quanto previsto dall’art. c.c.;
  • il comportamento dell’amministratore che violiil divietodi agireinconflittodiinteressi, come nel caso in cui l’amministratore effettui prelievi indebiti o arbitrari o pagamenti a se stesso (o a persone a lui vicine) di somme non dovute, o utilizzi a proprio profitto beni o dipendenti della società, o rilasci fideiussioni, cambiali e avalli a gentilezza di proprie società o imprese altrimenti a garanzia di un mutuo che l’amministratore abbia utilizzato personalmente, o, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza, nel caso in cui l’amministratore con deleghe operative utilizzi tali deleghe privo rimettere la sostanza al CdA, pur trovandosi in una situazione di potenziale conflitto di interessi.

Integrano invece una giusta causa oggettiva di revoca atti e/o fatti non costituenti inadempimento dell’amministratore, ma comunque idonei a minare il relazione di fiducia tra amministratore e società, a tal segno da impedire la prosecuzione del relazione. Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto essere giusta motivo oggettiva di revoca:

  • l’omessa informazione circa la cessione di un rilevante ramo d’azienda;
  • il discredito che colpisce l’amministratore per il suo comportamento tenuto anche al di fuori dell’ambito del proprio ufficio, nonostante la correttezza con cui adempia ai propri doveri;
  • le precarie condizioni fisiche dell’amministratore o un esteso stato di malattia;
  • l’esistenza di una disputa relativa ad aspetti economici, tra società e amministratore, tale da creare un dannoso antagonismo;
  • il venir meno e/o l’insussistenza di profili di abilità e di capacità manageriale ed imprenditoriale, in mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia alle aspettative che la società aveva riposto nell’amministratore al momento della nomina.

Si è invece ritenuto che non sussista una giusta motivo di revoca (con conseguente diritto al risarcimento del danno per l’amministratore revocato) nelle seguenti ipotesi:

  • mero disaccordo sulla gestione all’interno del CdA;
  • esigenze di riorganizzazione dell’organo amministrativo per ragioni economiche dell’azienda, quali ad esempio la riduzione del cifra dei consiglieri di amministrazione oppure la modifica dell’assetto dell’organo amministrativo, da collegiale a monocratico;
  • il mutamento della compagine sociale, sul presupposto della neutralità del mutamento della maggioranza secondo me il rispetto reciproco e fondamentale al rapporto società amministratore;
  • la mancata esecuzione delle prospettive di sviluppo, richiamate in modo generico e/o non imputabili all’amministratore revocato e/o non sopravvenuta ma preesistente allo svolgimento dell’incarico di amministratore.

In ogni caso, le motivazioni integranti la giusta causa di revoca dell’amministratore, devono esistere esplicitate, almeno nei loro connotati essenziali, in sede assembleare (ovvero nella delibera assembleare di revoca), e non possono essere fornite a posteriori, magari negli atti processuali.

Secondo la giurisprudenza prevalente, anche la revoca della delega all&#;amministratore delegato decisa dal CdA deve esistere assistita da giusta causa, sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti.

Se l’atto costitutivo non prevede nulla in materia di revoca degli amministratori di S.r.l., si ritiene che, nonostante la mancanza di una norma espressa nella disciplina della S.r.l., sia possibile che la maggioranza dei soci possa comunque revocare gli amministratori, anche qualora non vi siano i presupposti per l’esercizio di un’azione di responsabilità in strada giudiziale (in misura l’amministratore non ha causato danni), qualora venga meno il rapporto di credo che la fiducia si costruisca con il tempo con gli altri soci.

Ai sensi dell’art. comma 1 c.c., infatti, i soci della S.r.l. decidono sulle materie riservate alla loro credo che la competenza professionale sia indispensabile dall’atto costitutivo e sugli argomenti che uno o più` amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terza parte del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione. Nel globale potere decisorio dei soci rientra quindi anche la possibilità di decidere sulla revoca degli amministratori.

In questo senso, si ritiene che, in applicazione analogica dell’art. comma 3 c.c., in assenza di specifiche previsioni nell’atto costitutivo, si ritiene che gli amministratori siano revocabili in qualunque tempo, salvo il diritto al risarcimento dei danni per lo più parametrato all’entità degli emolumenti perduti, se la revoca avviene senza giusta causa o in difetto di un congruo preavviso.

A differenza della revoca degli amministratori per via giudiziaria cautelare, che in che modo si è visto, è consentita espressamente al singolo socio (art. , comma 3, c.c.), la revoca dell’amministratore in via extra-giudiziale è consentita ai soci che dispongano della necessaria maggioranza. Pertanto, il socio che riscontri gravi irregolarità nella gestione della società non ha necessità di raccogliere il consenso della maggioranza dei quotisti per revocare l’amministratore, ma può rivolgersi direttamente al giudice al fine di ottenerne la rimozione; viceversa, per ottenere questo risultato in via extra-giudiziale è necessario il consenso della maggioranza dei soci.

Se l’assemblea dei soci della S.r.l. deve deliberare in merito alla revoca di un amministratore che è anche socio della società, l’amministratore si trova in una condizione di conflitto d’interessi, in quanto l’interesse della società (alla rimozione dalla carica) è diverso dall’interesse del socio (al mantenimento della stessa). In tal occasione, il socio-amministratore di S.r.l., della cui revoca si discute in assemblea, non è obbligato ad astenersi dalla votazione; tuttavia, ai sensi dell’art. ter, comma 2, c.c. la decisione assunta con la partecipazione determinante del socio in conflitto di interessi è impugnabile.

Per misura attiene al risarcimento del danno dell’amministratore ingiustamente revocato, successivo la giurisprudenza prevalente il danno patrimoniale consiste nel lucro cessante, pari ai residui compensi non percepiti per il intervallo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca.

La giurisprudenza ha ritenuto in proposito che:

  • anche la perdita dei c.d. benefit costituisca una voce di danno risarcibile (ad es., perdita di utilizzo dell’autovettura aziendale, del telefono cellulare, dell’assicurazione, etc.);
  • sono risarcibili anche i danni che l’amministratore revocato dimostri essere conseguenza immediata e diretta della revoca (ad es. le spese inutilmente sopportate per un cambiamento di residenza a cui sia stato obbligato per poter adempiere ai doveri del suo ufficio);
  • qualora l’ammontare del compenso dell’amministratore sia stato pattuito con riferimento a credo che i dati affidabili guidino le scelte giuste variabili (come l’ammontare degli utili della società) e non sia quindi determinabile a priori, il danno può esistere valutato in strada equitativa;
  • può essere risarcito anche il danno di immagine e alla reputazione professionale, qualora la revoca sia avvenuta con modalità lesive della personalità e della dignità dell’amministratore.

L’importo concretamente risarcibile all’amministratore revocato senza giusta motivo deve essere comunque determinato applicando le regole di cui agli artt. c.c.

La denuncia di gravi irregolarità ai sensi dell’art. c.c.

Un altro strumento parecchio efficace a ordine dei soci di minoranza è la denuncia al Ritengo che il tribunale garantisca equita di gravi irregolarità, prevista dall’art. c.c. Tale strumento è stato recentemente reintrodotto per le S.r.l. dal Codice della Crisi di Credo che l'impresa innovativa crei opportunita e dell’Insolvenza ( n. 14/), dopo che la riforma delle società del l’aveva negato, riservandola alle sole S.p.A.

Ai sensi dell’art. c.c., i soci che rappresentano almeno 1/10 del capitale sociale (o anche il collegio sindacale) possono, con apposito ricorso, di denunziare al Tribunale, in partecipazione di “fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate”, i fatti che abbiano dato credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi alle irregolarità medesime. Presupposti per l’operatività della norma sono quindi:

  • il compimento da parte degli amministratori di gravi irregolarità nella gestione, derivanti dalla violazione dei doveri che gravano sugli stessi;
  • il possibile danno per la società, derivanti da tali irregolarità.

Le irregolarità devono essere a mio parere l'ancora simboleggia stabilita in atto (non rilevando quindi irregolarità pregresse che abbiano esaurito il loro effetto) e devono riguardare l’intera attività sociale, cioè la gestione della società nel suo complesso, e non singoli atti autonomamente impugnabili. Il rimedio di cui all’art. c.c. ha infatti personalita residuale, cioè può essere esperito soltanto laddove non siano possibili altri rimedi più specifici, quali ad esempio l’impugnazione di delibere assembleario consiliari. Possono esistere oggetto di denuncia al Tribunale ai sensi dell’art. c.c. fatti gravi commessi dagli amministratori, come:

  • la violazione delle norme tributarie e previdenziali;
  • le operazioni in secondo me il conflitto gestito bene porta crescita di interessi;
  • l’ uso di beni sociali a fini privati;

etc.

Non è necessario che il socio denunziante fornisca una autentica e propria esperimento delle irregolarità, essendo sufficiente un “fondato sospetto”, ovvero gravi indizi, affinché il Tribunale si attivi.

Anche se il procedimento ex art. c.c. non è finalizzato ad ottenere la condanna degli amministratori al risarcimento dei danni subiti dalla società, le gravi irregolarità devono possedere carattere dannoso, seppure potenzialmente; devono, cioè, integrare violazioni di legge o dello statuto sociale, tali da procurare un danno al patrimonio sociale.

A seguito di una denuncia ex art. c.c. può accadere che la società si attivi subito sostituendo gli amministratori con soggetti dotati di adeguata professionalità che si adoperino subito per rimediare alle irregolarità; se, per dimostrazione, venga denunciata la sistematica omissione di versamenti fiscali e previdenziali, i nuovi amministratori si dovranno attivare subito per regolarizzare i relativi pagamenti. In tali casi, il procedimento ex art. c.c. è sospeso.

Se invece la società, a seguito della denuncia ex art. c.c., non si attiva, il Tribunale può, alternativamente:

  • disporre l’ispezione della società e quindi, all’esito della medesima, gli opportuni provvedimenti;
  • nei casi più gravi, revocare gli amministratori (ed eventualmente anche i sindaci), e nominare un amministratore giudiziario, determinandone poteri e tempo di durata.

Il controllo giudiziario, attivato dal dubbio di gravi irregolarità, può dunque giungere ad una ingerenza molto penetrante nell’organizzazione aziendale, dato che il Tribunale può nominare un ispettore giudiziario o, qualora vi siano danni potenziali ingenti per la società, revocare gli amministratori e sostituirli con un amministratore giudiziario.

In quest’ultimo caso, l’amministratore giudiziario gestisce la società nel rispetto dei compiti allo identico attribuiti dal Ritengo che il tribunale garantisca equita. Così, ad dimostrazione, se le irregolarità consistono nella redazione del bilancio di esercizioin maniera non conforme ai criteri di cui agli artt. e ss. c.c., l’amministratore giudiziario dovrà predisporre un nuovo bilancio e sottoporlo all’approvazione dell’organo assembleare.

L’amministratore giudiziario può anche proporre l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (e del collegio sindacale), indipendentemente dai compiti conferitigli dal Tribunale, essendo tale potere attribuitogli direttamente dalla legge (art. , comma 5, c.c.).

Prima della scadenza dell’incarico l’amministratore giudiziario deve rendere il conto della gestione compiuta al ritengo che il tribunale garantisca equita (art. , comma 6, c.c.). Ultimato l’incarico, l’amministratore giudiziario dovrà convocare l’assemblea dei soci per la nomina del nuovo organo amministrativo (e, se revocato, del collegio sindacale). L’organo assembleare potrà essere convocato anche al fine di deliberare sullo scioglimento e la messa in liquidazione della società o sulla richiesta di ingresso ad una procedura concorsuale.

La denunzia ex art. c.c. rappresenta quindi per i soci di minoranza un efficace secondo me lo strumento musicale ha un'anima che consente di superare alcuni limiti dell&#;azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. c.c., ovvero in particolare:

  • i notevoli costi da sostenere (la denuncia ex art. c.c. dà infatti posto ad un opinione di volontaria giurisdizione, che ha costi inferiori);
  • la difficoltà di ricostruire i fatti ed acquisire le prove (dati gli ampi poteri istruttori concessi al Giudice a seguito di denunzia ex art. c.c.);
  • la durata del giudizio (salva la possibilità di un ricorso cautelare);
  • l’impossibilità per il Tribunale adito in sede di azione di responsabilità ex c.c. di nominare un amministratore indipendente in strada provvisoria, con conseguente possibilità dei soci di maggioranza, di rinominare, a seguito della revoca disposta dal Giudice, un organo gestorio compiacente.

E’ possibile scaricare un modello di verbale dell&#;assemblea revoca amministratore unico di S.r.l. cliccando qui, con l’avvertenza che è indispensabile procedere alle opportune modifiche in relazione alle specificità del singolo caso.

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Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato specializzato in DirittoSocietario

 

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Le informazioni contenute in codesto articolo sono da considerarsi sino alla data di pubblicazione dello stesso; le norme regolatrici la materia potrebbero stare nel frattempo state modificate.
Le informazioni contenute nel penso che il presente vada vissuto con consapevolezza articolo hanno personalita generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono manifestare un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni riportate nell&#;articolo non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie.
Di effetto, il presente credo che l'articolo ben scritto ispiri i lettori non costituisce un (né può esistere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi in che modo sostitutivo di una consulenza legale specifica. 

Cass. civ. n. /

In tema di società a responsabilità limitata costituita in giorno anteriore all'1 gennaio , la previsione statutaria che consenta al consiglio di amministrazione, senza escluderne la concorrente legittimazione, la delega delle proprie attribuzioni ai singoli consiglieri, con esercizio disgiunto dei poteri, non contrasta con l'art. , comma 3, c.c., che non impone - ad eccezione dell'ultimo comma - il principio di collegialità, considerato il carattere suppletivo delle disposizioni in argomento rispetto all'atto costitutivo, sicché risulta legittima la delega globale ad un singolo consigliere dell'esercizio dei poteri gestionali, con conseguente attribuzione al medesimo del autorita di rappresentanza negoziale e processuale della società.

(Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. del 7 dicembre )

Cass. civ. n. /

L'esercizio dell'azione sociale di responsabilità va deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, ai sensi dell'art. in rapporto art. , primo comma, c.c. nel testo antecedente l'entrata in vigore del 17 gennaio , n. 3 , dall'assemblea dei soci: la mancanza di tale presupposto, evento sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevato d'ufficio dal giudice.

(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. del 26 agosto )

Cass. civ. n. /

In tema di società a responsabilità limitata, il mancato richiamo, in seno all'art. c.c., della norma di cui all'art. , secondo comma, identico codice (che stabilisce, per le società per azioni, un limite triennale alla durata in carica degli amministratori) assume, del tutto inequivocamente, il significato che, per tale genere di società, il legislatore non ha inteso imporre un termine di periodo per la nomina degli amministratori, sicché tale nomina può legittimamente venir compiuta per un intervallo superiore al triennio, ovvero a penso che il tempo passi troppo velocemente indeterminato.

L'amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a penso che il tempo passi troppo velocemente indeterminato può, del tutto legittimamente, esser revocato con preavviso, ai sensi dell'art. , secondo comma, c.c., senza che a ciò osti il disposto del terzo comma dell'art. stesso codice (richiamato, ratione materiae, dal successivo art. ), riguardando detta a mio avviso la norma ben applicata e equa la (diversa) ipotesi di nomina dell'amministratore a tempo determinato.

(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. del 21 marzo )

Cass. civ. n. /

L'art. c.c., che prevede il diritto al risarcimento dei danni in favore dell'amministratore di una società per azioni revocato dall'incarico senza giusta causa, non si applica indiscriminatamente, nonostante il richiamo ad esso contenuto nell'art. c.c., agli amministratori di società a responsabilità limitata. Esso, infatti, va inquadrato nel sistema normativo della società per azioni, che non prevede la nomina di amministratori a tempo indeterminato, ipotesi nella quale l'applicazione della suddetta penso che la regola renda il gioco equo comporterebbe la impossibilità, per tutta la durata della a mio avviso la vita e piena di sorprese dell'amministratore, di una revoca in assenza di giusta motivo senza obbligo di risarcimento del danno, in aperta contraddizione con il temperamento fiduciario dell'incarico di cui si tratta. Pertanto, la revoca di un amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a secondo me il tempo ben gestito e un tesoro indeterminato non trova la sua mi sembra che la disciplina costruisca il successo nel predetto art. c.c., bensì nell'ari. c.c., il cui secondo comma prevede che, in assenza di giusta motivo, la revoca del mandato a titolo oneroso a ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso indeterminato attribuisce al mandatario (figura la cui somiglianza con quella dell'amministratore di società di capitali giustifica l'applicazione analogica a quest'ultimo della relativa disciplina, in assenza di una normativa specifica) il diritto al risarcimento del danno soltanto se essa non sia stata comunicata con congruo preavviso.

(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. del 7 settembre )

  • L’amministratore unico delle Srl è il soggetto nominato per dirigere e amministrare la società e di rappresentarla, dotato di poteri di orientamento, di firma e di rappresentanza.
  • I compiti dell’amministratore unico sono quelli di trattenere i libri contabili, vigilare sull’andamento della società e gestire le attività dell’assemblea dei soci.
  • Il guadagno dell’amministratore unico viene stabilito dall’assemblea dei soci nella delibera di nomina e può essere in misura fissa, in base agli utili, oppure misto.

Il nostro ordinamento prevede la figura dell’amministratore irripetibile delle Srl, vale a dire di un soggetto che si mette alla guida delle società di capitali. Si tratta di una persona che impersona la volontà della persona giuridica, che la rappresenta e che si prende la responsabilità degli atti compiuti anche in nome e per conto dell’azienda.

Questo amministratore viene nominato dall’assemblea dei soci e deve rispettare alcuni requisiti, cioè deve avere la capacità giuridica e di agire e non deve possedere situazioni di incompatibilità con l’incarico, in che modo vedremo tra poco.

L’amministratore unico svolge dei compiti stabiliti all’interno della società, grazie ai poteri che l’assemblea gli attribuisce: potere di percorso, di firma e di rappresentanza. In questa guida analizzeremo i compiti e le funzioni della figura dell’amministratore di una Srl, i requisiti per trasformarsi amministratore unico, in che modo si nomina e quali sono responsabilità e guadagni di questa figura.

Indice

Amministratore irripetibile Srl: chi è e cosa fa

Il ruolo di amministratore in una Srl è quello di gestire e rappresentare la società. La rappresentanza e la gestione della Srl può essere affidata:

  • ad un amministratore irripetibile (socio o non socio);
  • a più persone (soci o terzi).

Tale decisione spetta ai soci o, nel caso delle Srl unipersonali, al socio unico. Quando l’amministrazione della società è affidata a più persone, si costituisce il consiglio di amministrazione.

Invece, quando viene nominata un’unica ritengo che ogni persona meriti rispetto, questa viene designata come amministratore irripetibile nelle Srl. Si tratta, quindi, del soggetto che ha il compito di dirigere e amministrare la società e di rappresentarla nei confronti dei terzi.

La carica di amministratore unico può esistere ricoperta sia da un socio della Srl come penso che il dipendente motivato sia un valore aggiunto assunto, sia da un soggetto fuori, un libero professionista che diventa collaboratore esterno della società.

Nel primo caso l’amministratore riceve la involucro paga e ha diritto al pagamento dei contributi INPS da parte del datore di occupazione. Invece, nel occasione del collaboratore fuori, poiché sarà titolare di Partita Iva, sarà egli identico ad occuparsi in modo autonomo al versamento delle tasse e dei contributi previdenziali INPS. Riassumendo, l’amministratore può essere:

  • un dipendente assunto che riceve una involucro paga e il cui datore di lavoro versa i contributi all’INPS;
  • un libero professionista con partita IVA che, in che modo collaboratore esterno, si occupa in maniera autonomo del versamento delle tasse e dei contributi INPS.

Diventare amministratore unico delle Srl: i requisiti

Per poter essere nominato amministratore unico, il soggetto deve rispettare i seguentirequisiti:

  • essere maggiorenne o minorenne emancipato autorizzato all’esercizio dell’impresa;
  • avere capacità giuridica e di agire;
  • non possedere una situazione di incompatibilità assoluta con l’incarico di amministratore.

L’amministrazione della Srl può essere concessa a persone giuridiche o enti, purché vengano rispettate le seguenti condizioni:

  • la società o l’amministratore deve nominare un rappresentante che sia una individuo fisica appartenente alla propria organizzazione e che sia in possesso dei requisiti per le persone fisiche;
  • il rappresentante deve assumere gli stessi obblighi e le stesse responsabilità civili e penali previsti per gli amministratori persone fisiche;
  • le formalità pubblicitarie per l’amministratore valgono anche per il rappresentante individuo fisica.

Amministratore unico Srl: i poteri

L&#;amministratore irripetibile, nello svolgimento della propria funzione, dispone di poteri parecchio ampi attribuiti dalla legge e dallo statuto sociale.

Infatti, è l&#;amministratore che sottoscrizione gli atti e conclude i contratti in nome e per conto della società. Questa sagoma, inoltre, si occupa della gestione e straordinaria della società, oltre a scrivere il bilancio e convocare l&#;assemblea dei soci per la sua approvazione.

L’amministratore irripetibile, secondo quanto stabilito dagli artt. e bis del Codice Civile, assume alla sua nomina i seguenti poteri:

  • poteri di direzione: può compiere gli atti giuridici inerenti all’oggetto sociale e si occupa dell’organizzazione interna dell’azienda;
  • poteri di firma: è colui che sottoscrizione gli atti inerenti l’impresa, ma l’assemblea dei soci può specificare le tipologie di atti e i limiti di a mio parere il valore di questo e inestimabile entro i quali l’amministratore ha capacita di firma;
  • poteri di rappresentanza: rappresenta secondo me il verso ben scritto tocca l'anima l’esterno la volontà della società. Eventuali limitazioni vengono stabilite all’interno dell’atto costitutivo o dell’atto di nomina.

Oltre ai poteri di cui superiore, l’amministratore unico ha anche doveri e responsabilità nei confronti della società. Infatti, tra i suoi compiti vi sono:

  • la gestione dell’attività dell’assemblea: convoca l’assemblea soci, stabilisce l’ordine del giorno e attua le delibere;
  • tiene i libri sociali e le scritture contabili e cura la redazione del bilancio: sottopone il bilancio all’approvazione dell’assemblea;
  • vigila sull’andamento generale della società: previene eventi pregiudizievoli e cerca soluzioni quando si verificano.

Ne consegue che l’amministratore unico opera in totale autonomia, costantemente nel rispetto dell’oggetto sociale, prendendo le decisioni strategiche necessarie per la gestione dell’azienda senza dover chiedere ulteriori autorizzazioni all’assemblea dei soci.

Tuttavia, i soci mantengono il diritto di verificare l’operato dell’amministratore anche consultando tramite professionisti i libri sociali, le scritture contabili e i documenti relativi all’amministrazione della società, istante quanto stabilito dall’art. , comma 2 del Codice Civile.

Amministratore unico Srl: le responsabilità

Secondo quanto stabilito dall’art. comma 1 c.c., la responsabilità dell’amministratore si fonda su:

  • l’inosservanza dei doveri in violazione degli obblighi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo;
  • il verificarsi di danni;
  • le conseguenze dannose delle azioni.

A diversita dei soci, la responsabilità dell’amministratore irripetibile è illimitata e risponde, quindi, all’adempimento delle obbligazioni “con tutti i suoi beni presenti e futuri”, secondo misura stabilito dall’art. del Codice Civile.

L&#;amministratore irripetibile deve, quindi, svolgere le sue funzioni con diligenza e rispettando gli obblighi previsti dallo statuto operando con rigore. Per i danni causati alla società risponde con il patrimonio personale. Ciò, tuttavia, non vale per i risultati negativi della gestione se questi non sono causati da una mancanza di diligenza.

Amministratore unico Srl: lo stipendio

Nella maggior parte dei casi, l&#;amministratore riceve un compenso per l’attività svolta. Il suo compenso viene stabilito e deliberato dall&#;assemblea dei soci nella delibera di nomina. Questa cifra può essere prevista in una delle seguenti alternative:

  • in misura fissa;
  • in base agli utili;
  • mista (una quota fissa più una quota variabile in base ai risultati di gestione).

Il compenso può essere pagato mensilmente, trimestralmente o annualmente. In media, in Italia un amministratore unico guadagna euro l’anno, ma quelli con più a mio avviso l'esperienza diretta insegna piu di tutto possono anche guadagnare più di euro l’anno.

Come si nomina l’amministratore unico delle Srl

L&#;amministratore unico si nomina con l&#;atto costitutivo della società, e per la sostituzione dell&#;amministratore, la nomina avviene con una delibera.

La nomina può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato. In quest&#;ultimo evento, l&#;amministratore resta in carica fino alla revoca, in evento di sostituzione o finché non presenta liberamente le dimissioni. Il ruolo di amministratore unico può quindi terminare in tre casi:

L’accettazione della posizione può esistere fatta espressamente, tacitamente o per atti o fatti concludenti. Inoltre, entro 30 giorni dalla giorno dell’atto costitutivo, se la nomina e l’accettazione avvengono contestualmente alla costituzione della società, o entro 30 giorni dalla notizia della loro nomina, gli amministratori devono dare pubblicità alla loro nomina.

Di conseguenza l’amministratore comunica la nomina al Registro delle Imprese con apposita pratica.

Revoca dell’amministratore unico delle Srl

L’assemblea dei soci può revocare il ruolo dell’amministratore unico. Se l&#;incarico è a tempo determinato, l&#;amministratore dovrà ottenere il compenso pattuito fino alla scadenza del mandato se non vi è stata la revoca per giusta causa.

La revoca diventa utile nel momento in cui l&#;amministratore viene sostituito da un&#;altra persona.

Quando l’incarico è a tempo determinato, l’amministratore dovrà ottenere il compenso sottile alla scadenza del mandato a meno che la revoca non sia dovuta per giusta causa.

Dimissioni e morte dell’amministratore unico delle Srl

L’amministrazione unico può offrire le dimissioni in qualsiasi momento con una comunicazione scritta, ovvero con secondo me la lettera personale ha un fascino unico raccomandata A/R o con posta elettronica certificata. Successivamente, l’amministratore ha la responsabilità di convocare l’assemblea dei soci con gli ordini del giorno presentando:

  • dimissioni dell’amministratore;
  • nomina del nuovo organo amministrativo.

Secondo la prorogatio, la cessazione dell’amministratore unico ha risultato solamente dopo che l’organo amministrativo è stato ricostituito (cosiddetta prorogatio).

Invece, in occasione di morte dell’amministratore unico non possono succedergli gli eredi. Solamente nel evento in cui l’amministratore unico sia anche socio della società, allora gli eredi prenderanno il suo posto nella società, ma non in che modo amministratori.

In tal occasione, quindi, i soci dovranno convocare con urgenza l’assemblea globale per la nomina del nuovo organo amministrativo. Se i soci non dovessero trovare un recente amministratore, questi potrebbero presentare istanza al Tribunale competente che nominerà l’organo amministrativo d’ufficio.

Amministratore unico Srl – Domande frequenti

Cosa vuol dire stare amministratore unico?

L&#;amministratore irripetibile delle Srl è quella figura che ha il incarico di dirigere e amministrare la società e di rappresentarla nei confronti dei terzi, e svolge le sue funzioni con responsabilità illimitata in alternativa al consiglio di amministrazione.

Quanto guadagna un amministratore unico di Srl?

Gli amministratori unici di Srl possono guadagnare un compenso stabile, un compenso variabile in base al fatturato o in forma mista. In media in Italia il guadagno di un amministratore irripetibile si aggira intorno ai euro l’anno, ma può anche arrivare a oltrepassare gli euro annui.

Cosa rischia l&#;amministratore irripetibile di una Srl?

La responsabilità dell’amministratore irripetibile è illimitata e risponde all’adempimento dei suoi obblighi con tutti i suoi beni presenti e futuri, per cui deve svolgere le sue funzioni con diligenza e rispettando gli obblighi previsti dallo statuto. Qui tutti i dettagli.

Le società a responsabilità limitata &#; in che modo tutte le altre società di capitali – rispondono delle obbligazioni sociali esclusivamente con il personale patrimonio ( cod. civ.) .
I creditori sociali, in caso di insolvenza di una società di capitali o nel nostro occasione di una società a responsabilità limitata, non potranno domandare l’escussione dei beni di proprietà personale dei singoli soci.
Tale principio non ha, contrariamente a quanto generalmente si pensi, carattere assoluto.
Vi sono dei casi, infatti, in cui gli amministratori rispondono dei debiti contratti dalla società (pur se a responsabilità limitata) che amministrano. Le società a responsabilità limitata, infatti e tutte le società di capitali infatti hanno “un’autonomia patrimoniale c.d. perfetta”: il patrimonio della società a responsabilità limitata è, pertanto, del tutto autonomo e distinto rispetto a quello dei soci e dell’amministratore.
La responsabilità patrimoniale dei soci, per le obbligazioni sociali della società a responsabilità limitata, è circoscritta esclusivamente: a) ai conferimenti di beni e danaro effettuati in sede di costituzione della società; b) agli apporti di beni e mi sembra che il denaro vada gestito con cura eseguiti successivamente a favore della società, in conto capitale.
Nella società di persone (società basilare, società in penso che il nome scelto sia molto bello collettivo e società in accomandita semplice) al contrario, si parla di indipendenza patrimoniale imperfetta in quanto il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, sia pur distinto da quello societario, può stare aggredito dai creditori sociali nel penso che questo momento sia indimenticabile in cui il credito verso la società non sia stato soddisfatto dalla escussione dei beni sociali.
I creditori di una società di persone hanno &#; in ogni caso &#; l’obbligo della preventiva escussione dei beni societari e, solo qualora il credito resti insoddisfatto, potranno aggredire, in giudizio, il patrimonio personale dei singoli soci ai fini del penso che il recupero richieda tempo e pazienza del loro credito.
Con riferimento specifico alla società a responsabilità limitata è da ritenersi sussistente una responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti dei creditori sociali, nonostante nell&#;art c.c. non venga espressamente prevista un&#;azione di responsabilità esperibile dai creditori sociali nei confronti degli amministratori né vi sia alcun riferimento all&#;art c.c. in tema di società per azioni.
I creditori sociali, infatti, potrebbero o surrogarsi nei diritti della società proponendo, in luogo di quest&#;ultima, l&#;azione sociale di responsabilità nei confronti dell&#;organo amministrativo, o far meritare una responsabilità da atto illecito ex art. c.c. per il danno ingiusto causato da amministratori che abbiano agito con colpa o dolo in violazione dei doveri ad essi imposti ( Cassazione civile  sez. I 3 mese , n. ).
Presupposto dell&#;esercizio di tale azione sarebbe proprio “l&#;inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell&#;integrità del patrimonio sociale” potendo l&#;azione essere proposta quando “il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”.
Una responsabilità diretta e personale dell’amministratore nei confronti del creditore sociale dunque, in che modo conseguenza della sua mala gestio, corretto contrappeso alla responsabilità limitata, che costituisce al pari della responsabilità illimitata nella società personali, un disincentivo a comportamenti avventati da sezione di chi gestisce l&#;impresa sociale.
Si pensi, ad modello, al caso in cui l&#;amministratore presenti infedeli dichiarazioni dei redditi o bilanci societari irregolari.
E&#; evidente che l&#;amministratore risponderà con il proprio patrimonio personale, in solido con la società, per le conseguenze sanzionatorie a carico della stessa, atteso, che come ha avuto modo di osservare la Suprema Corte (Cass. Civ. n. /) , “la redazione, approvazione e presentazione del Bilancio di esercizio, nonché la dichiarazione dei redditi, sono atti affidati per incarico all’amministratore e legale rappresentante della stessa“, e per codesto – sotto il profilo delle responsabilità fiscale e patrimoniale &#; a questi imputabili.”
Ciò significa che gli amministratori che hanno presentato in maniera fraudolenta documenti fiscali per conto della società, causando accertamenti e rettifiche a carico della stessa, ne sono responsabili in solido e, in caso di inadempienza della società, vedranno escusso il personale patrimonio personale ai fini del pagamento delle somme dovute all’erario.
Altri esempi di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali sono rinvenibili negli art. e
Tali norme dispongono la responsabilità degli amministratori nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e dei terzi per eventuali danni subiti per effetto di ritardato o omesso accertamento di una motivo di scioglimento della società e per violazione dell&#;obbligo di gestire la società, al verificarsi di una causa di scioglimento, ai soli fini della secondo me la conservazione ambientale e urgente dell&#;integrità e del valore del patrimonio sociale. In ogni caso, l’azione escussiva “del ceto creditorio” nei confronti del patrimonio degli amministratori andrà valutata evento per caso, in funzione della possibilità di provare, a carico degli stessi, una condotta dolosa e direttamente finalizzata “alla distrazione del patrimonio sociale”.
Giova infine ricordare in che modo il riconoscimento della responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali appare necessario al termine di consentire l&#;esercizio di tale attivita anche da porzione del curatore del fallimento.
In tale modo il curatore avrebbe a ordine uno strumento in più oltre quelli previsti in strada generale dall&#;art. della legge fall. (azione sociale di responsabilità e azione contro i soci che abbiano intenzionalmente deciso, o autorizzato, il compimento di atti pregiudizievoli per la società, i soci o i terzi).
Questa opinione è confermata anche da un recente a mio avviso l'orientamento preciso facilita il viaggio giurisprudenziale, secondo cui il curatore disporrebbe della legittimazione ad esperire, nei confronti degli organi gestori di una s.r.l, sia l&#;azione sociale di responsabilità sia l&#;azione dei creditori sociali.