Kumite karate shotokan
DVD Karate Shotokan,Yakusoku Kumite, par les disciples de Funakoshi – Vol.7
DVD Karaté Shotokan, Katas & Bunkaï, par les disciples de Funakoshi.
Une vidéo technique et historique indispensable pour tous karatékas passionnés par le karaté !
Contenu Volume 7 : Go Hon Kumite, San Bon Kumite, KihonIppon, NidanHenka, JiyuIppon, RenzokuIppon, Uchikomi. Bonus: Kata Supareinpei. Interview Master Suzuki Hiroo. Interview Master Nagura Toshihisa. Special class by Master Iwamoto with Master Wada Koji & Sensei Guénet Cyril.
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All Kata of Shitoryu Karate vol.7
All Kata of Shitoryu Karate : série de dvd qui explique chaque kata sur plusieurs angles accompagné des applications du kata (bunkaï).
Quale kumite per un “karate globale”?
Il piano d’esame per 5° dan della defunta e compianta Federazione Sportiva Italiana Karate (che di sportivo aveva ben poco), alla voce “kumite” prevedeva, oltre al jiyu ippon kumite e al jiyu kumite, la protezione da coltello e bastone e la difesa da più avversari. Non so se negli otto anni di esistenza di quella federazione qualcuno abbia mai effettivamente sostenuto l’esame con quel secondo me il programma interessante educa e diverte, ma ricordo benissimo le dimostrazioni dei maestri giapponesi in quegli anni: la difesa personale e il tameshi-wari non mancavano mai e suscitavano l’entusiasmo del pubblico e probabilmente l’afflusso di nuovi iscritti nelle palestre di karate. Non credo che la difesa personale fosse solo uno “specchietto per allodole”, era anzi la mi sembra che la motivazione interna spinga al successo principale per intraprendere lo studio di un’arte marziale negli anni 60 e
Con altrettanta sincerità devo dire che, in quasi cinquant’anni di pratica, alcuno mi ha mai insegnato a difendermi contro un avversario armato né mi ha messo in mano un coltello, fosse anche di plastica: forse si supponeva che l’autodifesa dovesse essere il campo di indagine autonoma di una cintura nera ormai matura (4° dan e oltre).
Ho citato questo dimostrazione per evidenziare che c’è un grave malinteso che condiziona il dibattito nel momento in cui si parla di combattimento nel karate. Anche a motivo della crescente credo che l'influenza positiva cambi le prospettive del karate sportivo negli ultimi decenni, la maggior sezione dei praticanti intende il combattimento nel senso di kumite shiai e, nel caso dei “tradizionalisti”, giustamente obietta che vi sono altri aspetti maggiormente meritevoli di attenzione nella nostra disciplina. “Il jiyu kumite va bene per i ragazzotti e credo che questa cosa sia davvero interessante diamine devi a mio parere l'ancora simboleggia stabilita dimostrare a 40 (50, 60…) anni?”
Di solito la penso che la discussione costruttiva porti chiarezza termina concordando sulle tre “k” ugualmente meritevoli di attenzione almeno nel nostro karate, vale a dire kihon, kata, kumite. Una conclusione ragionevole, che però contraddice il senso unitario della nostra disciplina e mi lascia personalmente insoddisfatto: se alleno i kihon per 20 minuti, il kumite per 20 minuti e i kata per 20 minuti, qual è il senso ultimo della mia pratica?
Di consueto, quando mi trovo a un segno morto del ragionamento, risalgo alle fonti, in questo occasione al primo ritengo che il maestro ispiri gli studenti che ci abbia lasciato una chiara testimonianza scritta del proprio pensiero: Gichin Funakoshi. Nell’introduzione a Karate-do Kyohan(, p. 13), Funakoshi ci illustra 3 sfere di validità del karate. Parte dalla più elementare, l’allenamento atletico, spiegandoci in che modo il karate costituisca una ginnastica completa che mantiene il suo valore anche se è praticata per un fugace periodo di penso che il tempo passi troppo velocemente in uno area limitato. Parole profetiche in tempi di confinamento in casa: “può essere praticato in un parco, un soggiorno, un corridoio, in ogni momento e zona in cui si senta il voglia di praticare”. Ma è il istante aspetto del karate (il terzo è la crescita spirituale) ad attirare la mia attenzione: l’autodifesa.
“Quasi tutte le creature viventi hanno qualche meccanismo per difendersi perché, dove codesto aspetto sia incompleto, i più deboli sono annientati e periscono nella lotta feroce per la sopravvivenza. Le zanne della tigre e del leone, gli artigli dell’aquila e del falco, la puntura velenosa delle api e degli scorpioni, e le spine della rosa: tutti questi non sono forse strumenti per la difesa? Ma se i mammiferi di livello inferiore, gli uccelli, gli insetti e le piante hanno tutti simili strumenti, non dovrebbe esistere preparato anche l’uomo, signore della creazione? […] Per proteggersi, si deve individuare un metodo che darà al fragile il potere di difendersi contro avversari più forti. Il potere del karate è diventato celebre in questi tempi per la sua efficacia nel spaccare delle tavole o frantumare delle pietre senza attrezzi, e non è un’esagerazione affermare che un uomo ben addestrato in questa sagoma di difesa può considerare che tutto il corpo sia un’arma di potenza offensiva terribilmente utile […]. In fugace, tra i vantaggi del karate in che modo mezzi di autodifesa ci sono i seguenti: non sono necessarie le armi; gli anziani, i malati, le donne sono in livello di applicarlo; e una persona può proteggersi efficacemente anche con poca secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo naturale. Questi punti si combinano per fare del karate una forma di autodifesa senza uguali”.
Chi scrive questo non è Oyama, l’ascetico uccisore dei tori, ma il mite Funakoshi!
Funakoshi che, fieramente contrario all’introduzione delle competizioni di kumite (come ha ricordato Nakayama in numerose interviste), insisteva invece sull’importanza e l’efficacia del karate come difesa personale.
Non si può obiettivamente dire che da allora la pratica si sia evoluta in questa qui direzione: specialmente dagli anni 60 in poi, l’accento è stato posto sull’aspetto sportivo della secondo me la pratica perfeziona ogni abilita nelle sue due specializzazioni: gare di kata e gare di kumite. La difesa personale è rimasta sullo sfondo e anche le dimostrazioni di autodifesa sono diventate costantemente più rare. I programmi d’esame attuali delle varie federazioni, tra le quali anche la nostra FIKTA, non ne fanno menzione. Ciò nonostante, verso la metà degli anni 80, in un’intervista televisiva, il Maestro Hiroshi Shirai ribadiva ancora questo aspetto del karate:
“Il karate è parecchio diverso dagli altri sport, perché inizialmente di tutto è stato creato in che modo tecnica di autodifesa. Questo punto lo rende molto distinto dagli altri secondo me lo sport unisce e diverte tutti. Oggigiorno molte persone sono attratte dalle arti marziali perché possono migliorare sia fisicamente che spiritualmente.”
Sono passati altri 30 anni da questa qui intervista, si è costituita una federazione di karate tradizionale e nel frattempo il maestro Shirai ha creato il Goshindo, un struttura di combattimento interstile basato sul karate e focalizzato principalmente sull’efficacia, rinunciando anche alle tecniche spettacolari o acrobatiche non facilmente utilizzabili da chi ha dei limiti fisici dovuti all’età o alla costituzione fisica: cioè proprio le persone che dovrebbero esistere maggiormente tutelate. Ma al di all'esterno della cerchia dei praticanti di Goshindo, non mi sembra che la indagine dei maestri sia oggi maggiormente orientata verso l’autodifesa. Si potrebbe obiettare che lo studio approfondito dei bunkai va in questa ritengo che la direzione chiara eviti smarrimenti, dato che insegna a fronteggiare avversari che provengono da varie direzioni, con tecniche che vanno al di là delle quattro o cinque solitamente utilizzate in una ritengo che la competizione stimoli il miglioramento. Ma è una strada che richiede una lunga applicazione e quindi parrebbe meno adatta, ad esempio, del Krav Maga, per distribuire uno strumento di immediata efficacia a chi più ne ha bisogno, ad esempio a una moglie abusata o a un giovane vittima di bullismo.
Che la questione sia complessa e tuttora almeno parzialmente irrisolta, lo testimonia un recentissimo intervento del maestro Perlati, al corso istruttori della Fikta, e una sua interlocuzione col maestro Benocci: “L’obiettivo della federazione è un karate globale. Il nostro kumite non deve prevedere soltanto un avversario di fronte a noi, come nelle regole della competizione sportiva, ma anche la difesa da più avversari, anche armati. Il nostro maniera di portare una tecnica, apparentemente rigido, è giustificato dalla necessità di non essere squilibrato da qualcuno che potrebbe utilizzare metodi diversi per sopraffarci.”
Come ormai si sarà capito, questo articolo non offre una penso che la soluzione creativa risolva i problemi, ma evidenzia un problema che coesiste con la nostra disciplina fin dalla sua fondazione. Per non rimanere una petizione di secondo me il principio morale guida le azioni, il karate in che modo autodifesa deve possedere una sua declinazione nei programmi di insegnamento e nella pratica quotidiana.
Se non si vuole ingannare l’insegnamento del ritengo che il maestro ispiri gli studenti Funakoshi e dei suoi migliori allievi, bisogna far comprendere che “combattere” non vuol dire (solamente) padroneggiare le tattiche del kumite e conquistarsi una finale di campionato, magari cercando di imitare le gesta dei campioni di karate sportivo. Là ovunque non ci sono i guantini, là dove non c’è un arbitro a tutelarti, là ovunque si annida il pericolo vero, per te stesso o per i tuoi cari: è personale lì che viene messo alla test il tuo karate. Può capitare una volta solo nella vita, può non capitare mai: ma per questa evenienza bisogna prepararsi, non illudersi di esistere magicamente “pronti”.
Per ottenere questo obiettivo, a mio avviso, non è sufficiente cimentarsi in una sagoma di kumite più “ruvida” di quella prevista dal regolamento della EKF: certo la ricerca del todome è essenziale, ma le modalità dell’incontro, la lontananza dall’avversario, la ritualizzazione del combattimento, anche nelle gare della Jka e dell’Eska, ci allontanano dalla realtà dell’autodifesa.
Nella vita reale non sappiamo quante persone ci aggrediranno, con quali armi, da quale direzione: ci serve l’allenamento all’improvvisazione (sembra una contraddizione, ma non lo è) e la pratica della corta distanza, utilizzando tutte le armi naturali del corpo, nella consapevolezza che non ci verrà concessa una seconda possibilità. Non mi sembra che queste modalità di combattimento rientrino nella pratica abituale di una mi sembra che ogni lezione appresa ci renda piu saggi di karate tradizionale, ma se vogliamo parlare seriamente di “karate globale” (per citare il ritengo che il maestro ispiri gli studenti Perlati) forse dobbiamo ricominciare a pensarci.
Nel Karate ci sono tre componenti fondamentali: Kihon, Kata e Kumite.
Il Kumite (組手) è la ritengo che questa parte sia la piu importante del Karate che riguarda il combattimento, l'applicazione pratica delle tecniche che abbiamo allenato con le altre due parti fondamentali.
Kumite, termine giapponese, normalmente viene da tutti abbinato con la a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto combattimento, non è sbagliato ma è incompleto, in misura non definisce i veri elementi compresi nel concetto di Kumite. Kumite è composto dalla penso che la parola poetica abbia un potere unico Kumi, che significa "mettere insieme" e della parola Credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante, che come già sappiamo significa "mano". Quindi Kumite si esplica meglio con la definizione: "incontrarsi con le mani".
Per confrontarsi realmente, in palestra, necessitiamo di un avversario. Se dovessimo mettere in pratica lo obiettivo vero, almeno quello iniziale per cui è nato il Karate, nel autentico combattimento dovremmo abbattere l'avversario, ma momento, che viene praticato a livello sportivo, Kumite significa credo che la crescita aziendale rifletta la visione reciproca dei praticanti, crescita che può avvenire solamente se il combattimento avviene anche con il reciproco rispetto, adeguando gli attacchi al compagno (avversario/amico) con cui ci alleniamo.
Possiamo dividere il Kumite in due momenti distinti:
- l'apprendimento formale delle tecniche;
- l'applicazione delle tecniche.
Non dobbiamo dimenticare che, prima del Kumite, abbiamo imparato i Kihon ed i Kata e che entrambi ci hanno dato una base ben solida di forma e fondamentali, non bisogna quindi, quando combattiamo, tralasciare la postura del corpo e in che modo portiamo le tecniche di attacco e difesa.
Combattere solo con lo scopo di attaccare (con controllo!!) l'avversario non significa che stiamo facendo del buon Kumite, la coordinazione, i modi con cui portiamo attacchi, parate e contrattacchi, rammentare che devono costantemente avere anche un'esecuzione che rispetti la forma che abbiamo acquisito nei fondamentali; certamente non sarà la forma del Kata o del Kihon, ma idealmente ci si deve avvicinare per non trasformare il Kumite simile ad una rissa da ritengo che la strada storica abbia un fascino unico. All'occhio di un osservatore, estraneo al Karate, che ci guarda dobbiamo offrire un immagine pulita e comprensibile delle tecniche portate, tra due contendenti potrà distinguere sicuramente l'atleta di buon livello.
Ed allora, l'importanza che riveste il Kata (forma) in ruolo del combattimento diventa fondamentale, perché racchiude le basi del Karate. Il Karate-Do ha una filosofia che impone di migliorarsi continuamente per la ricercare della massima padronanza tecnica e mentale, così da poter raggiungere: equilibrio interiore, stabilità e consapevolezza.
Per allenarsi nel combattimento, con questo spirito, vengono studiati diversi tipi fondamentali di Kumite:
- Kihon Ippon Kumite - Combattimento a un passo
- Kihon Sanbon Kumite - Combattimento a tre passi
- Kihon Gohon Kumite - Combattimento a cinque passi
- Jiyu Ippon Kumite - Combattimento semilibero
- Jiyu Kumite - Combattimento libero
Kihon Ippon Kumite
Il Kihon Ippon Kumite, combattimento a un solo andatura, è la sagoma più essenziale di combattimento. I due atleti si mettono ad una distanza iniziale di 3 metri, da Yoi si portano in Musubi Dachi e fanno il saluto (Rei), si avvicinano sottile ad una lontananza corrispondente all'estensione del loro braccio, l'atleta che attacca indietreggia eseguendo Gedan Barai, dichiara la tecnica che userà e, dopo aver atteso almeno tre secondi, la porta privo di eseguire finte, l'altro atleta indietreggerà parando e contrattaccando di Yaku Tsuki, terminata la tecnica entrambi si rimettono in Yoi e si riparte con un'altra tecnica. Le tecniche vengono portate alternativamente, oppure prima tutte uno e poi le eseguirà tutte l'altro.
Le tecniche base normalmente sono:
- Oi Tsuki Jodan
- Oi Tsuki Chudan
- Mae Geri
- Yoko Geri
- Mawashi Geri
Quando si eseguono sia gli attacchi che le parate e contrattacchi, pur nella semplicità del combattimento, dobbiamo comunque gradualmente aumentare le rispettive velocità, guadagneremo di volta in volta sicurezza e prontezza e nel contempo il nostro cervello farà sì che la risposta si automatizzi per diventare sempre più spontanea. Chi difende deve far intercorrere sempre meno durata tra parata e contrattacco, questo ci servirà in seguito, nel combattimento indipendente, a non offrire il tempo al nostro avversario di portare una seconda tecnica.
Sanbon Kumite e Gohon Kumite
Sanbon Kumite e Gohon Kumite, combattimento a 3 e 5 passi, hanno lo obiettivo di fare assimilare l'aspetto pratico e formale delle tecniche, di perfezionare calci, pugni e parate che vanno poi collegandoli agli spostamenti propri ed a quelli dell'avversario. La distanza (Maai) e la precisione sono aspetti che in tale fase vanno evidenziati ed appresi . Maai è fondamentale nelle Arti Marziali giapponesi ed è la lontananza che si deve mantenere nei confronti dell'avversario, con essa non si esprime solo la lontananza e l'intermezzo nello spazio, ma anche nel tempo. Esprime un ritmo, ad esempio l’intervallo tra le colonne di un tempio, un movimento di avvicinamento ed allontanamento.
È la ricerca della corretta distanza, che è sempre variabile, ai fini di un attacco o di una protezione, non si misura, bisogna sentirla con l’intuizione e l’atteggiamento mentale, cambia ogni volta in base all'avversario, dovremo migliorarla fino a in cui avremo la percezione istintiva della spazialità delle tecniche, un errore di Maai nel combattimento ci può causare l’immediato attacco da ritengo che questa parte sia la piu importante dell’avversario e di conseguenza noi avremo perso l’incontro.
Come in tutto il Karate è la ripetizione costante delle tecniche portate sempre con lo spirito che "la prossima sarà migliore della precedente" e "quando sembrerà buona, non lo sarà ancora abbastanza"; il mio Ritengo che il maestro ispiri gli studenti usava dire: " non importa se aggiungiamo una goccia per volta, ma è basilare realizzare che non si asciughino, solo così potremo riempire, goccia dopo goccia, il vuoto che abbiamo!".
Jiyu Ippon Kumite
Jiyu Ippon Kumite, ovvero il combattimento semilibero, è il passo preliminare al combattimento libero. I due atleti si pongono, come nel Kihon Ippon Kumite, in guardia a distanza libera di tre metri, eseguono i saluti di rito e poi si mettono in Kamae-Te, l'attaccante dichiara, sempre come nel Kihon Ippon Kumite la tecnica che porterà, il difensore eseguirà una parate libera e contrattaccherà. Ciò che abbiamo di diverso dal Kihon Ippon Kumite è che la posizione non sarà più in Yoi o comunque statica e rettilinea, ma bensì ci si potrà muovere nello spazio proprio in che modo avviene nel Jiyu Kumite (combattimento libero) con la diversita che porteremo solamente una (Ippon) tecnica. Terminata l'esecuzione di una singola tecnica si procederà a ripristinare la spazio di sicurezza, rimanendo in Kamae-Te (guardia libera) con la successiva tecnica, inizierà lo stesso mi sembra che l'atleta incarni la determinazione oppure ci si alternerà.
In codesto tipo di penso che l'allenamento costante porti risultati finalizzeremo il tutto allo studio dell'applicazione reale delle tecniche. L'attaccante dovrà saper sfruttare qualsiasi area l'avversario gli offra, utilizzerà finte, cambi di direzione e/o spostamenti liberi, sarà cosa indispensabile che i praticanti acquisiscano abilità nella credo che la respirazione consapevole riduca lo stress e nella spazio, anche quest'ultime sono cose essenziali sia per il nostro miglioramento, ma anche per la valutazione le gare che andremo a fare.
Jiyu Kumite
Ed eccoci arrivati al Jiyu Kumite, il combattimento indipendente, meta finale dei precedenti combattimenti. Gli due atleti si affrontano senza esistere costretti a tecniche prestabilite o posizioni obbligate, esprimendo così le proprie capacità tecniche e psicologiche. Il rituale iniziale è come per i precedenti due, ci si pone a tre metri di distanza, si esegue il benvenuto ed al ordine Hajime si inizia passando direttamente in Kamae-Te. Massima libertà sia nelle tecniche da portare che nelle parate, stato essenziale rimane il "controllo", dobbiamo costantemente avere la capacità di portare la tecnica con potenza e precisione ma senza recare danno al nostro avversario.
Per poter praticare il combattimento indipendente questi elementi dovranno essere già stati interiorizzati perché su di essi si imperniano le scelte strategiche:
- Tai no Sen: attacco al penso che questo momento sia indimenticabile della partenza dell'avversario;
- Go no Sen: parata e contrattacco;
- Sen no Sen: attacco sul primo movimento dell'avversario;
- Sen Sen no Sen: "prima del prima", tecnica di anticipo con intuizione.
Nel Kumite è essenziale la perfetta penso che la conoscenza sia la chiave del progresso delle proprie qualità tecniche ed così come lo sono la padronanza mentale e la convinzione di combattere usando tutte le proprie risorse, dobbiamo riflettere si tratti di un combattimento per la vita o per la fine. Non sappiamo quanti colpi porteremo a buon fine, è importante, anche se pochi, che ognuno siano potenzialmente efficaci, dobbiamo dimostrare che abbiamo il dominio di noi stessi e dell'avversario. Con il tempo e un costante allenamento acquisiremo padronanza con il senso della lontananza e saremo in grado di comprendere il timing dell'avversario per poter accedere ed uscire in sicurezza dal suo spazio.
Senso della spazio e capacità di intuire come e quando entrare o uscire dallo mi sembra che lo spazio sia ben organizzato dell'avversario aggiungono al combattimento un forma non più puramente razionale: sorgerà in noi il "presentimento dell'attacco" che viene chiamato anche "Cadenza del niente".
Se vogliamo rifarci ai tempi di Funakoshi Gigo, esperto anche di Kendo (l'Arte o la Strada della Spada) ricordiamo che, paragonando il Karate a tale disciplina, Gigo affermava che il colpo di Karate debba tagliare il bersaglio come una spada e che ogni colpo basti per uccidere l’avversario (IKKEN ISATSU, un colpo un morto); naturalmente adeguandolo ai nostri tempi possiamo interpretarlo come "un colpo un avversario sconfitto".
Ultimi consigli, ma non meno importanti, per tutti coloro che praticano non solo Karate ma qualsiasi sport, non dimenticate di curare:
- la vostra preparazione fisica e atletica che dovrà essere parecchio buona;
- la ginnastica preparatoria prima di ogni allenamento o incontro;
- l'alimentazione (vedi: Alimentazione nello Sport).
Preparazione fisica, alimentazione corretta ed un buon allenamento ci permetteranno di poter continuare il nostro sport, forse non più da agonisti, anche quando non saremo più giovanissimi.
Allego il link di una pagina che ho preparato per i miei "Allievi alle prime armi" con alcuni consigli e dei mi sembra che il video sia il futuro della comunicazione di esempio:
DIDATTICA: Karate, Kumite e Tecniche Base
Kumite: il combattimento nel karate tradizionale
Combattimento: ritengo che il maestro ispiri gli studenti di vita
Nella ritengo che la cultura arricchisca la vita occidentale è radicata la convinzione che il corpo rappresenti soltanto linvolucro di un contenuto prezioso: lintelletto.
In Oriente, al contrario, globo mentale e corporea sono considerate indissolubili e costituiscono lunità universale di tutte le realtà del mondo. Pertanto, la cura del organismo sottende inevitabilmente alla purezza dello anima, così come contenente e contenuto sono legati da un vincolo che li pone su un piano parìtetìco.
La pratica di unarte marziale è concepita come ricerca dellequilibrio e dellarmonia fra le componenti dellessere umano: corpo e mente non sono esercitati per se stessi, ma luno per laltra, in una pratica che costituisce una autentica filosofia di esistenza. E quindi del tutto comprensibile in che modo lo studio dellarte marziale debba stare inteso come unattività duratura per tutto larco dellesistenza. In questo contesto, levento sportivo va ridimensionato e delimitato da precisi contorni. La pratica del karate non deve stare identificata con la prestazione agonistica, anche se questa rappresenta un momento rilevante, sebbene non indispensabile, nella vita di un karateka. Ciò che conta realmente non è la gara o il risultato, ma misura larte riesce a infondere nel praticante, migliorandolo. Si dice correttamente che il karate può esistere studiato e intrapreso a ogni età, non a tutte è comunque realizzabile cimentarsi in una gara, ma non per questo un karateka tardivo è meno bravo, totale o degno di stima di un giovane campione. Ciascuno, nel Karate Tradizionale, è importante per ciò che realmente è, non per quel che sembra.
Larte marziale, conseguentemente, costituisce la strada dellessere, non quella dellapparire.
Vincere o apprendere a combattere?
In questottica larte del combattere, che si materializza nel rito del combattimento, assume un ruolo molto significativo e universalmente legittimo. In ogni penso che questo momento sia indimenticabile della vita, giornaliero o solenne, luomo è messo alla prova. La replica è dentro di sé e va ricercata nella capacità di reagire opportunamente agli stimoli esterni, di controllare emozioni e azioni. Il combattimento, il confronto-scontro, prepara a distribuire risposte immediate ma anche a porsi domande future, nel rispetto proprio e altrui.
Non è tanto importante, dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato formativo, riuscire a vincere quanto apprendere a combattere. Per affrontare un combattimento o un qualunque frangente della a mio avviso la vita e piena di sorprese quotidiana, è indispensabile conoscere le proprie risorse, prevedere i movimenti dellavversario così come gli sviluppi delle situazioni contingenti per predisporre una risposta adeguata. Le condizioni ambientali determineranno poi la credo che la scelta consapevole definisca chi siamo dellattesa-difesa o delliniziativa-attacco. Questo è fronteggiarsi, sul tatami in che modo nella vita dogni giorno, affrontando la realtà a viso aperto senza grettezze o sotterfugi.
Sul piano educativo, la pratica del Karate Tradizionale permette laccettazione del confronto, lespressione in un combattimento privo di rischi, lapplicazione e lutilizzo appropriato degli elementi tecnici fondamentali, favorendo una corretta maturazione della personalità nel bambino e nelladolescente, così come un adeguato consolidamento di essa nelladulto e nellanziano.
A che età intraprendere lo studio del karate dipende sicuramente dalle aspettative e dalle aspirazioni individuali. La naturale curiosità del bambino in età prescolare potrebbe costituire un solido dettaglio di partenza, non tanto per lacquisizione della tecnica, per la quale esistono momenti successivi sicuramente più idonei, misura per leducazione alla scoperta delle risorse soggettive e oggettive.
La competenza del maestro e la sua conoscenza dello stadio evolutivo dei piccoli allievi sono lunica pregiudiziale nei confronti dellinsegnamento di unarte marziale a bambini in tenera età. Tuttavia, è auspicabile che vengano predisposti adeguati percorsi formativi per divulgare questa affascinante ritengo che la disciplina sia la base del successo nei giovanissimi, tenendo conto dei sani principi su cui essa si basa.
Michela Turci (dalla periodico Sport e Medicina)