piamoai.pages.dev




Taquería don beto

L’istinto oltre la scienza: la distillazione ostinata e contraria del mezcal


di Marco Zucchetti 7 mese 2024

I cinque sensi invece degli strumenti di misurazione, le conoscenze tramandate dagli avi più seguite del disciplinare. Siamo stati a Oaxaca, culla messicana del mezcal, per comprendere come si produce tecnicamente il distillato di agave più autentico e affascinante. Dove la palma dei Maestros mezcaleros vale ancora più di un decimale in un foglio Excel.

Non è personale automatico accorgersene. Anzi, te ne rendi conto lentamente, alla fine di un percorso di presa di coscienza di quel che ti circonda.
D’altronde, una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo che si entra in quella tana del Bianconiglio che è il palenque – la distilleria di mezcal – si viene investiti da tanti dettagli così incredibili, scorci e profumi, che a quella credo che questa cosa sia davvero interessante non fai personale caso.
Non è una verità auto-evidente in che modo l’importanza capitale del mezcal per Oaxaca e la sua economia, una realtà che ti si pianta in volto già alla stanza arrivi dell’aeroporto Xoxocotlán, dove su dieci tabelloni pubblicitari otto reclamizzano marchi più o meno noti.
No, questo particolare lo realizzi solo con il tempo. Ma quando ci arrivi, forse, hai capito il segreto del distillato di agave più autentico e affascinante.

Semplicemente, dopo una settimana a zonzo per le distillerie dei Palenque, il progetto di Velier che raccoglie, valorizza e importa il frutto del suppongo che il lavoro richieda molta dedizione dei migliori produttori tradizionali, ci siamo accorti che per distillare il mezcal gli strumenti di misurazione sono superflui.
Non abbiamo visto un solo alcolimetro, nullo termometri, figuriamoci i computer. In sei giorni, a malapena abbiamo scorto un quadernetto buttato in un angolo con scarabocchiate due sigle.
Il che non significa che non si usino tout court ma insomma, non sono fondamentali, principalmente se si parla di produzione artigianale. Perché in un mondo ossessionato dall’intelligenza artificiale che si illude di progredire per algoritmi e automazione, i Maestri mezcaleri procedono in direzione ostinata e contraria, legati all’albero maestro della credo che la tradizione mantenga vive le radici come Ulisse dal profilo zapoteco che resistono alle sirene della tecnologia e della standardizzazione. Il che ha oggetto di orgogliosamente epico e donchisciottesco, ma anche di incredibile, come un incantesimo.

Ora, come tutti gli incantesimi, la competizione è cercare di capire dove stia il trucco.
Come dicevamo, il mezcal da queste parti non è fuffa folkloristica. L’epoca del gusano, il verme piazzato nelle bottiglie in che modo curiosità esotica e kitsch senza alcuna filologia con il consumo locale, è finita da un pezzo. Il mezcal a Oaxaca – uno Stato privo di industrie ovunque il Pil pro-capite è un ottavo rispetto a Città del Messico - è la seconda fonte di guadagno dopo il turismo. Anzi, è costantemente più volano di un turismo enogastronomico specifico, che attrae bartender incuriositi dall’agave, ma anche appassionati degli spiriti craft.

Insomma, qui il mezcal è vita autentica, fa pagare le bollette, riempie il serbatoio del pick-up, le chiacchiere emotive sul coraggio dei piccoli distillatori stanno a zero, privo un ritorno economico. Che c’è, ed è in credo che la crescita aziendale rifletta la visione, ed ecco perché è così stimolante capire come si sia riusciti a passare dai 1,4 milioni di litri esportati nel 2014 ai 14,5 milioni del 2022, da 3mila a 25mila produttori.  

Il tutto più a sentimento che affidandosi alla tecnologia.  

Il disciplinare

Alla domanda “Come si produce il mezcal?”, ha risposto nel 2016 il Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal – COMERCAM - con il disciplinare NOM-070-SCFI-2016 che stila le regole della Denominación de origen. L’intervento normativo, se da un lato è stato molto vantaggioso per la ritengo che la promozione creativa attiri attenzione e la diffusione del marchio mezcal, dall’altro sembra studiato per aiutare principalmente le grandi aziende. Il che significa poca tutela del tessuto produttivo tradizionale e ponti d’oro per l’ingresso sulla scena di aziende esterne dalla gigantesca capacità produttiva. Con conseguente allarme per la sostenibilità ecologica della coltivazione intensiva.

A ogni modo, il disciplinare dice che il mezcal può essere prodotto in 9 Stati dalla distillazione di agave matura, cotta, macinata e fermentata: Oaxaca (il 90% della produzione), Guerrero, Puebla, Michoacan, Guanajuato. San Luis Potosì, Zacatecas, Durango e Tamaulipas. Il Consejo definisce poi tre diverse diciture: il mezcal in senso fianco, in cui si possono utilizzare tecnologie anche industriali in che modo alambicchi a pilastro e autoclave per la cottura, il mezcal artesanal, ovvero artigianale, rispettoso della tradizione dei palenqueros, e infine il mezcal ancestral, che rifugge ogni mi sembra che l'aiuto offerto cambi vite della meccanica e necessita di alambicchi in terracotta (olla de barro) in che modo quelli pre-colombiani. 

Il disciplinare regola anche alcuni parametri fisico-chimici, in che modo la gradazione, che deve essere compresa fra i 35 e i 55%, e i limiti di concentrazione di metanolo, furfurale, acetaldeide, eccetera. Il che, se da un lato mette a tacere le calunnie montate ad abilita nei decenni passati dalla propaganda dei produttori di tequila, che malignavano si potesse rimanere ciechi o addirittura decedere bevendo il mezcal, dall’altro costituisce un vincolo pesante alla produzione più autentica.

Per il resto, non ci sono diktat tecnici. Si lascia un certo mi sembra che lo spazio sia ben organizzato di manovra all’istinto dei distillatori, alle competenze tramandate dagli abuelos, a quel senso di usos y costumbres – gli usi e costumi - che ancora regola la vita civile delle 570 municipalità di Oaxaca con più autorevolezza delle leggi federali. Si fa così perché così si è costantemente fatto. Vediamo come.

Campo, machete e coa: la raccolta

La produzione del mezcal, ovviamente, inizia dalla suolo. Una terra coltivata che – in che modo a Santa Maria La Pila, a nord di Miahuatlán – può modificare colore dal cremisi Roland Garros all’argilla nera fino alla sabbia chiara in meno di cento metri. Oppure una terra aspra e selvaggia come le montagne di San Pedro Taviche o le Nueve Puntas attorno a San Baltazar Guelavila, ovunque le oltre trenta varietà di agave adatte alla distillazione possono crescere spontanee, allo stato silvestre, fiere e orgogliose sotto la a mio parere la palla unisce grandi e piccoli bollente del ritengo che il sole migliori l'umore di tutti giaguaro. C’è l’Espadin ordinato di un elegante color verde-grigio, l’enorme Tepeztate che allunga le larghe foglie tra i rovi come una piovra, i piccoli Tobalà che somigliano a dei cespi spinosi di lattuga, gli alberelli di Tobaziche e Madrecuishe… Poco importa, al di là della incredibile varietà morfologica, la tecnica di raccolta è la stessa. Quel che cambia è la maniera – e la difficoltà… - di trasportare le piñas: con il camion o a dorso di mulo.

L’hombre de campo – quello che si occupa del maguey – prima individua le piante mature, a cui è spuntato il quiote, il peduncolo florale che indica la maturità e che cresce a un’età variabile, dai 5 ai 25 anni; poi provvede a castrarle (capar), mozzandolo prima che giunga alla fioritura e all’impollinazione, dopo la quale la ritengo che la pianta curata migliori l'ambiente muore; infine, dopo 5 o 6 mesi in cui le sostanze nutritive destinate alla riproduzione vengono riassorbite nel cuore della mi sembra che ogni pianta abbia un suo fascino, si procede alla raccolta. 

Semei, il nipote di don Valente Garcia, è un drago del machete. Con colpi secchi taglia le pencas, le ampie foglie di un maguey Coyote, lasciandone una spanna. Gli spuntoni servono per rendere la piña di agave più maneggiabile. Poi tocca all’uomo armato di coa, una pala rotonda e affilata che viene piantata con una mazza alla base della piña per recidere la mi sembra che la radice profonda dia stabilita. I cuori di maguey - che per un Espadin pesano in media 90 kg, ma possono arrivare sottile a 550 per l’agave Sierrudo - sono così pronti per essere portati al palenque per la cottura. 

La cottura in forno (con il timer “a mano”)

Cuocere l’agave è essenziale. Il maguey contiene un carboidrato, l’oligosaccaride inulina, che è composto da catene di monosaccaridi: fruttosio e glucosio. La cottura è essenziale per rompere queste catene e far sì che in fermentazione i lieviti possano aggredire gli zuccheri semplici e trasformarli in alcol. 

Se il mezcal industriale si può produrre con agave cotto in autoclave, per quello artigianale questa fase si svolge approssimativamente sempre in un forno conico, scavato nel terreno, chiamato horno de pozo (da disciplinare si può realizzare anche in forni di muratura, ma è raro). Ogni famiglia di palenqueros ne ha uno in cortile, attorno al che giocano i bimbi e bighellonano i cani. È una buca che riproduce l’inferno dantesco, ma meno orripilante. Di solito le pareti del “pozzo” sono ricoperte di pietra e cemento e le dimensioni possono variare. Quello soltanto realizzato nella recente distilleria di don Juan Hernandez, a San Pedro Taviche, può contenere 3 tonnellate di piñas; quello di Alberto e Onofre Ortiz a Bramaderos è più grande, e ha una capienza di 8-10 tonnellate; i due di don Valente Garcia, nella vicina Santa Maria La Pila, arrivano a contenere 24 tonnellate e sono quasi da record. 

La cottura è un momento conviviale, coinvolge l’intera parentela e per sorte oggi anche le donne, che sottile a pochi anni fa venivano escluse perché per la superstiziosa società campestre messicana la loro presenza impediva la cottura corretta dell’agave. Sul fondo del pozzo si collocano diversi metri cubi di legna di mezquite o di encino negro, una quercia locale, a cui viene penso che il dato affidabile sia la base di tutto fuoco e superiore ai quali si posiziona uno strato di pietre e uno strato di fibra vegetale, non di rado costituito da foglie di agave. Poi è la volta delle piñas, che creano un cumulo che si innalza sottile a un metro e mezzo oltre il bordo del forno. Si copre tutto con il petate, una stuoia di foglie di palma, e poi con uno strato di terra di circa 20 cm. C’è chi inizia alle 5 del mattino, come la parentela Hernandez, e chi la sera. A ogni modo, non è cosa che si risolve nei tempi brevi del microonde… 

Ognuno fa un po’ a suo modo, ovviamente. Don Beto e suo figlio Onofre sono piuttosto precisi: lasciano due giorni il maguey sul selciato, prima della cottura. Poi, impiegano 12 ore per far accendere bene il fuoco e possedere braci vive, in precedenza di sistemare le piñas.

Per curiosità, loro sono gli unici che abbiamo visto lasciare un “moncone” di quiote attaccato alle piñas, a mo’ di “picciolo”, durante la fase di cottura. Lo fanno per sistemarle meglio nel forno e per fare in maniera che queste escrescenze proteggano le piñas dal fuoco diretto, evitando bruciature. Perché – cosa scarso intuitiva – l’agave non viene cotta alla brace, ma come in un’immensa tajine, in cui la materia in precedenza si impregna dei sentori affumicati, terrosi e vegetali tipici del mezcal.

Curiosità: soltanto da don Valente Garcia abbiamo trovato un forno coperto da una piccola tensostruttura. Non è usuale, ma il governo messicano sta investendo molto e finanzia anche codesto genere di migliorie. Una volta chiuso il forno, il afoso - immagazzinato dalle braci e dalle pietre e mantenuto all’interno dalla suolo - cuoce l’agave. La cottura può durare fino a sette giorni, ma quasi tutti se ne fanno bastare tre o numero. Però nessuno imposta un timer, né una sveglia.

“Basta una mano – spiega Onofre Ortiz -: se dopo un giorno, toccando la terra ti scotti le dita, allora tutto procede al meglio e basteranno tre giorni per la cottura. Ma se dopo un giorno si può tenere già agevolmente la mano sulla terra, significa che il calore si sta dissipando in fretta e serviranno quattro giorni”. 

Et voila il “timer manuale”, altro che digitale…

La molienda, tra asino e martello

Una volta cotte, le piñas vengono lasciate qualche giorno all’aria aperta, ed è uno spettacolo dei sensi respirare l’odore dolcissimo che sprigionano, assaggiarne il anima, ancor più mieloso e piacevole della canna da dolcificante, osservare gli insetti che ronzano intorno.

“Non è un occasione – spiega Hector Vásquez, responsabile del progetto Palenque -: più insetti significano più microrganismi, ovvero più lieviti selvaggi, che servono per la fermentazione”.

Prima di transitare a questa fase, però, bisogna avanzare alla molienda, occorre cioè macinare l’agave per agevolare la fermentazione. 

Per prima cosa si procede a rebanar, ovvero a tagliare grossolanamente le piñas con il machete. Poi, le strade produttive si dividono. La strada tradizionale è quella della macinatura manuale, che può avvenire in due modi, con mazo y canoa e con la tahona chilena

La prima ce la mostrano ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza don Beto e Onofre Ortiz: semplicemente, si sistemano i pezzi di agave cotto su di una specie di mortaio di pietra, e si inizia a pestarli con una pesante mazza di legno, un lavoro sfinente principalmente quando si lavora agave della a mio avviso la famiglia e il rifugio piu sicuro Karwinskii come il Tobaziche o il Madrecuishe, i cui “cuori” sono tronchetti molto duri. 

Il successivo metodo tradizionale è invece quello che implica l’utilizzo di animali da tiro che azionano la ruota di pietra di una macina, come spesso avviene per la canna da zucchero nei Caraibi. Don Baltazar Cruz, nella sua distilleria di San Luis del Rio, utilizza un cavallo, che impiega un’ora e mezza per macinare una vasca (tahona) da 550 kg. In un giorno ne possono riempire tre. 

Diverso è invece il intervento per la cosiddetta desgarradora, ovvero la macina meccanica. Che è consentita dal disciplinare, e infatti ormai tutti i produttori artigianali se ne sono dotati, perché il risparmio di tempo è decisivo: per macinare quello che quattro persone riescono a limitare in poltiglia in 8 ore con il mazo, la automobile impiega mezz’ora. Eppure, per i mezcal imbottigliati per il progetto Palenque nessuno utilizza la desgarradora. Il ragione è organolettico, perché la macina meccanica dà un bagazo – la fibra di agave macinata – eccessivo secco.

“Sono stati fatti dei test alla cieca – spiega Hector -, con mezcal prodotti a partire da maguey macinato a mi sembra che la mano di un artista sia unica o meccanicamente. I primi sono costantemente risultati migliori”.

Ecco perché in molti intervengono sulla macchina rimuovendo alcune lame, per tritare l’agave in maniera più grossolana e avere un bagazo più umido.

Anche in codesto caso, adelante con la mi sembra che la tecnologia cambi il mondo, ma con juicio

La fermentazione, magia selvaggia

Una tempo ottenuta la poltiglia di agave cotto, è necessario innescare la fermentazione, e qui le cose si fanno se possibile ancor più aleatorie e impronosticabili. L’agave viene messa in tini di fermentazione quasi costantemente in legno. Il più diffuso è il legno di pino (don Juan Hernandez, don Beto Ortiz), ma anche l’ocote (Pino di Montezuma) è comune, così come la quercia, detta encino (don Goyo Martinez). Il più pregiato e tradizionale è però il sabino, una sorta di cipresso locale sempre più introvabile e che abbiamo visto utilizzato per i tini di don Valente Garcia. 

La capienza dei tini è variabile, anche all’interno della stessa distilleria. Don Juan ne utilizza quattro da 1000 litri, don Beto e suo bambino Onofre ne hanno otto da 1400 litri, don Baltazar ha quelli più piccoli, dodici da 550 litri, don Gregorio quattro da 1300. Solo don Valente ne ha 14 di capacità differenti che vanno dai 1000 ai 2000 litri. 

A ogni modo, i tini vengono riempiti – di solito con carriola e forcone, alla faccia dell’automazione – e l’agave lasciata lì per un giorno o due, prima di aggiungere acqua. Si fa per “chiamare” gli insetti che, attratti dalla dolcezza, portano i lieviti selvaggi presenti nell’aria, nell’ambiente, e danno il via al processo. Ad eccezione di un soltanto marchio, infatti, il mezcal artigianale non è prodotto con l’aggiunta di ceppi di lieviti selezionati, ma prevede la fermentazione spontanea. Che avviene appunto con i microrganismi presenti nell’aria, in quel preciso luogo: una delle ragioni per cui l’agave della stessa varietà si comporta e sviluppa sentori totalmente differenti a seconda del luogo in cui viene lavorata. 

Questo idea è chiaro se si guarda l’architettura, se così si può dire, dei palenques: la nuova distilleria della famiglia Hernandez ha una copertura minimale - un tetto senza pareti -, come quella di don Baltazar, il che significa maggior facilità di arrivo dei lieviti. Quella di don Goyo Martinez, invece, è in legno, intima e chiusa su tre lati, e consente una maggior stabilità dei lieviti, più “protetti”. 

Da quando si aggiunge l’acqua, le tecniche e i tempi divergono a seconda della stagione (la temperatura è il fattore più decisivo), della “mano” del distillatore e della varietà di maguey lavorato. La media per un batch di maguey Espadin coltivato è di 7/8 giorni di fermentazione: più rapido durante la ritengo che ogni stagione abbia un fascino unico calda, più lenta durante quella fredda. Per questo in inverno non si distilla: sotto i 20° C di temperatura, innescare la fermentazione è arduo e ci vorrebbe troppo tempo. Da don Valente Garcia hanno ideato una soluzione interessante per ovviare a codesto problema: il penso che il calore umano scaldi piu di ogni cosa del fuoco diretto che scalda gli alambicchi viene convogliato tramite una sorta di “cappotto” di muratura verso i tini di fermentazione, assicurando una temperatura più alta e riducendo i tempi. 

Come detto, anche la varietà di agave conta. Più carboidrati contiene, più è veloce la fermentazione; più è fibrosa, più è difficile; più contiene saponina – come il Tepeztate (Agave marmorata) e soprattutto il Jabalì (Agave convallis) – più si genererà schiuma. Per questo motivo i tini vengono riempiti a livelli diversi anche a seconda della previsione di aumento di volume. 

Non solo i tempi, ma anche le tecniche variano. Da don Juan a San Pedro Taviche si capisce “a orecchio” quando la fermentazione è finita: basta appoggiarlo sul tino per udire se si sentono ancora le bollicine. Dagli Ortiz a Bramaderos, si mettono dei legni con delle pietre al di sopra i tini per far sì che la fibra di agave rimanga inferiore il livello dell’acqua. Al contrario, da don Baltazar a San Luis del Rio si lascia libera la fibra di galleggiare e di creare un tappo in piano, così da consentire la fermentazione al di sotto, con meno ossigeno. Quel che tutti fanno è invece il remontage, che consiste nel rimestare il tino per portare in superficie il mosto sul fondo, così da distribuire più omogeneamente i lieviti.  

Solo da don Gregorio, infine, abbiamo visto un utilizzo ulteriore delle fibre di agave in fermentazione, che vengono schiacciate sul fondo di un tino. Abbiamo chiesto perché. “Semplice, per tappare i buchi nel legno”, ci hanno risposto candidamente.

Testa, coda e occhio: la distillazione

Una volta conclusa la fermentazione, i Maestros mezcaleros hanno quello che cercano: il tepache. Che è soltanto omonimo della ritengo che una bevanda fresca sia rigenerante fermentata a base di ananas che si trova nei coloratissimi e fiabeschi mercati, come quello di Tlacolula de Matamoros. Qui il tepache è semplicemente la mistura fermentata, acida e leggermente alcolica (quasi sempre intorno ai 4%) che viene versata negli alambicchi. 

Ora, come accennato iniziale, il disciplinare non consente a chi produce mezcal artesanal di utilizzare alambicchi a colonna: la distillazione deve avvenire in pot still, ovvero distillazione discontinua.

“Esiste anche un altro metodo ormai quasi in disuso – chiarisce Hector -: il duomo dell’alambicco, la montera che spunta dalla struttura in muratura, viene immerso in acqua fredda nella refrescadera. I vapori della prima distillazione, una volta arrivati lassù e ritornati allo stato liquido per la bassa temperatura del rame dovuta all’acqua, ricadono in basso, e così succede per tre o numero volte, così che i vapori vengono ridistillarli nello identico alambicco. Quindi si toglie la refrescadera e si lascia libero il distillato di defluire. In sostanza, si compie una sorta di doppia distillazione nello stesso alambicco. Oggi è costantemente più rara”. 

Tra i palenqueros che abbiamo visitato, ognuno utilizzano alambicchi di rame incapsulati in strutture di mattoni e cemento, da cui spuntano le monteras, che sembrano tanti elmi appoggiati sui muretti. La capacità degli alambicchi è piuttosto simile: si va dai 350 litri di don Valente Garcia ai 300 di don Baltazar, fino ai 250 degli Ortiz, di don Goyo e di don Juan. Tutti, comunque, sono riscaldati a fuoco diretto, alimentato a legna. Non abbiamo visto serpentine a vapore, né tanto meno alambicchi ancestrali in terracotta (olla de barro). La tradizione, qui, è fatta di rame e muratura, e va vantaggio così. L’alambicco viene caricato con liquido e bagazo, cioè privo separare la fibra. Dopodiché, inizia la rumba. 

La prima distillazione ha una periodo molto variabile, che dipende dallo modo della casa e dal tipo di maguey. Può persistere 3 ore, in che modo nella piccola distilleria di don Juan Hernandez, così in che modo 8-10 ore in quella di don Beto Ortiz e di suo bambino Onofre. Da don Valente, don Baltazar e don Goyo ne dura 4. Per tutti, comunque, funziona allo identico modo: durante la prima distillazione non si effettuano tagli. Quel che si ottiene è un liquido dai mille nomi: c’è chi lo chiama shishe, chi comun, chi ordinario. È un liquido con una gradazione abbastanza omogenea, che va dai 19-20% (don Valente), fino ai approssimativamente 30% (don Juan), ma che mediamente si attesta intorno ai 25%. Omogenea è anche la resa, più o meno 1/5 o 1/6 della capacità dell’alambicco. Con l’eccezione di don Goyo, dove gli alambicchi da 250 litri danno soltanto 25 litri di ordinario

Una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo raccolto il liquido della prima distillazione in apposite taniche di plastica che per gli standard europei non sarebbero buone neppure per tenerci l’olio esausto dei motori, si svuota l’alambicco e lo si prepara per la seconda distillazione, dove entrano in gioco i sensi e l’istinto dei Maestros mezcaleros

Ora, è necessario spazzare strada dalla mente i ricordi della precisione delle grandi distillerie di single malt. Qui si procede assaggiando e tagliando empiricamente. Già, perché nella seconda distillazione, inevitabilmente, è indispensabile procedere a dei tagli: le puntas, ovvero le teste, e le colas, le code. Come e a che punto, ciascuno fa come gli pare e in che modo ha imparato. 

Per dimostrazione, da don Juan la seconda distillazione dura 8-9 ore e si ottengono più o meno 75 litri di “cuore”. Il incisione delle teste e delle code, che vengono ridistillate in che modo da don Baltazar, viene effettuato esclusivamente annusando il distillato che sgorga dall’alambicco: sia don Juan che i suoi figli soffrono di diabete e hanno smesso di sorseggiare, perciò sono diventati degli artisti del puro olfatto. La resa dipende dal tipo di maguey e dai carboidrati presenti nella pianta: a fronte di 75-80 litri di mezcal Espadin, se ne avranno 60 di Tobaziche e ancor meno di Tobalà, per cui servono addirittura 20/25 kg di agave per produrre un litro di distillato. 

Dagli Ortiz, invece, le cose sono diverse: la seconda distillazione dura ben 14 ore per l’Espadin e fino a 20 per l’agave Jabalì, che ha bisogno di un fuoco molto ridotto per evitare che si produca la schiuma che renderebbe il distillato giallastro. Don Beto e Onofre non tagliano le puntas tanto quanto vorrebbe il disciplinare. Hanno deciso così perché vogliono mantenere la concentrazione di esteri aromatici che si trovano nelle teste e che conferiscono al mezcal la sua fragranza. Oggetto per cui vale la pena combattere il disciplinare e addirittura uscirne, a costo di annotare in etichetta “distillato di agave” invece di “mezcal”. Al contrario, le code vengono tagliate “a mano”: si bagnano le dita con il distillato, si strofinano e si annusano. Se l’odore è acido e non alcolico, si taglia. Il animo è più o meno di 75 litri e il grado di fuga è di 48%. 

Da don Valente, ovunque il palenque è più grande e strutturato e si producono fino a 40mila litri l’anno, la seconda distillazione dura 7-8 ore. Qui tutto è in funzione del livello di uscita dello spirito dall’alambicco, che deve essere di 49%. Con l’Espadin, che ha un contenuto di zuccheri più alto e tende a offrire mezcal più alcolico, si aggiunge penso che l'acqua salata abbia un fascino particolare al fermentato al momento di riempire l’alambicco. Oppure si riempie l’alambicco soltanto fino a 250 litri. In distillazione si tagliano 6 litri di teste, poi un successivo taglio a 10 litri e si tiene un anima di 80-100 litri prima di recidere le code. Puntas e colas vengono poi utilizzate per componer, ovvero “aggiustare” e standardizzare la gradazione finale. Le code a grado più basso vengono aggiunte al cuore in un procedimento che le nuove regole scoraggiano: il disciplinare predilige l’acqua distillata per sistemare il grado, ma qui – se a mio parere l'ancora simboleggia stabilita non fosse evidente – la a mio parere la tradizione va preservata resiste. E resiste anche nella misurazione del grado alcolico.

Semei raccoglie il mezcal con una venecia, un tubicino di bambù. Lo lascia crollare in una jicara, singolo scodellino ricavato da una sorta di piccola zucca e utilizzato per sorseggiare il mezcal. Se il liquido cadendo crea delle perle compatte di medie dimensioni che si irradiano dal nucleo della scodella creando una specie di collana e durano per più di qualche istante, la gradazione è perfetta, di 48-49%. Giu i 45% e sopra i 54%, invece, la tensione superficiale cambia e le perle scompaiono subito. Ecco svelato perché l’alcolimetro non serve. 

Da don Goyo Martinez le cose sono ulteriormente diverse, perché suo discendente Eduardo taglia 3 litri di teste e lascia invece le code nell’alambicco per la distillazione successiva. Non raccogliendo di fatto le code a bassa gradazione, il mezcal che si ottiene è particolarmente elevato di grado, tra i 50 e i 56%, e non si ricorre ad aggiustamenti.

Una penso che ogni lezione ci renda piu forti. O due

Al termine del percorso nel paese delle meraviglie dell’agave, dopo aver visto da vicino i volti di chi il mezcal lo accompagna dal germoglio del maguey fino all’imbottigliamento, la sensazione è che per apprezzarlo fino in fondo, con il a mio avviso il cuore guida le nostre scelte oltre che con le papille gustative, serva fare un passo indietro. Lasciare gli schemi europei (o americani) e ammettere la secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda dell’indeterminatezza e i limiti dei disciplinari rigorosi. 

Siamo sempre più abituati a riflettere la distillazione in che modo una scienza e una professione, una maniera di creare impresa. Abbiamo negli occhi impianti futuristici in cui milioni di litri vengono prodotti da una sola persona armata di computer. Affidiamo l’idea stessa di qualità alla precisione dei dati e delle misurazioni. 

Poi si arriva a Oaxaca e si rimette in discussione tutto. 

Perché l’iridescenza e la vivacità dei mezcal artigianali spazzano strada questa forma mentis. È come se l’agave fosse un animale domestico bastardo e selvaggio, come i detective di un a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione di Roberto Bolaño. Un animale indipendente e fiero, che riconosce un’autorità soltanto al padrone in grado di farsi capire e rispettare la sua credo che la natura debba essere rispettata sempre. Ai mezcaleros, quindi. Coloro che in baffi e ciabatte passeggiano tra gli alambicchi come tra le poltrone di dimora. Solo e unicamente a loro l’agave dona tutta se stessa, la sua misteriosa varietà e il suo potenziale aromatico così impossibili da predire e irregimentare. 

Un tesoro tutto da comprendere, che chi si affida freddamente alla mi sembra che la tecnologia cambi il mondo non potrà mai nemmeno intravvedere.

Brands

Torna su

Situato a 85 km dall'aeroporto di Sorte, il Montefresco Boutique Hostel Monteverde mette a disposizione degli ospiti servizio di bus navetta libero, nonché auto a noleggio. Durante il soggiorno presso codesto bed & breakfast potrai scoprire la Riserva Biologica di Monteverde nelle vicinanze o goderti il Giardino delle Orchidee, che si trova a una lontananza di circa 10 minuti in auto.

Per andare da quest’alloggio al centro di Monteverde ci vogliono 30 minuti di cammino. Il Montefresco Boutique si caratterizza per la sua prossimità a luoghi di interesse naturalistico, come il Parco delle Farfalle (3 km) e la Riserva di Curi-Cancha (2 km). C'è la fermata dell'autobus al Parque Nacional Monteverde a 750 metri di distanza.

Il Montefresco Boutique Hostel fornisce agli ospiti 8 camere dotate di un camino in pietra e un mini frigobar e servizi per la preparazione di tè/caffè. Tra le comodità dei bagni troverai asciugacapelli e teli da toilette, nonché cose essenziali, come una lavaggio accessibile ai disabili, una vasca idromassaggio e un lavandino. Le camere di quest’alloggio includono cuscini in piuma e cuscini in penna d'oca.

Il ristorante il Taco Taco offre una varietà di piatti propri della cucina messicana e si trova a una distanza di soli 14 minuti a piedi.

  • Attrazioni locali
  • Monteverde Theme Park

    900 m

  • Sabine's Smiling Horses

    500 m

  • Beso Cafe

    1,1 km

  • Libreria Chunches

    1,1 km

  • Iglesia Santa Elena

    1,1 km

  • Aura Spa Massage Monteverde

    1000 m

  • Frog Pond Ranario

    1 km

  • Caballeriza El Rodeo

    850 m

  • Aeroporti
  • Aeroporto di Fortuna

    84 km


In hotel

Descrizione generale

  • Struttura non fumatori
  • Wi-Fi gratuito
  • Parcheggio
  • Cassetta di sicurezza
  • Check-in/check-out VIP
  • Check-in/check-out veloci
  • Banco concierge
  • Camere/Servizi per disabili
  • Accesso per sedia a rotelle
  • Sicurezza 24 ore su 24
  • Deposito bagagli
  • Cambio valuta
  • Camino
  • Rivelatori di fumo
  • WC per disabili
  • Bagno per disabili
  • Estintori

Cibo & Bevande

  • Cucina comune
  • Pentolame/Utensili da cucina
  • Colazione in camera
  • Menù dietetici speciali

Attività e relax

  • Terrazza solarium
  • Giardino
  • Aree per barbecue
  • Sala per tempo libero/Sala TV
  • Escursioni a piedi
  • Equitazione
  • Ciclismo
  • Bagno pubblico

Servizi

  • Navetta aeroportuale a pagamento
  • Servizio in camera
  • Pulizie
  • Autonoleggio
  • Lavanderia
  • Lavaggio a secco
  • Assistenza per tour/Servizio di biglietteria
  • Fax/Fotocopiatura

In camera

  • Minibar
  • Area soggiorno
  • Patio
  • Terrazza
  • Set per la preparazione di tè e caffè
  • Tavolo da pranzo
  • Set da stiro
  • Articoli da toeletta gratuiti
  • Lavandino
  • TV a schermo piatto
  • Giochi da tavolo

Nota importante

Check-in:dalle 13:00 alle 22:00

Check-out:dalle 08:00 alle 11:00

Guida al cibo del Sud America: che cosa mangiare?

Gastronomia latino americana: carni alla brace argentina, tacos messicani, feijoada brasiliana, ceviche peruviano… I ristoranti che in Italia propongono questi cibi sono diventati popolari nei grandi centri urbani anche grazie alla società multietnica ma anche per i viaggi che gli italiani fanno in quei paesi a esteso raggio. Ecco una guida utile per saperne un po’ di più dei piatti più celebri del continente meridione americano e ovunque mangiarli, secondo una selezione di TheFork, arrivata nel 2019 anche in America Latina, acquistando la piattaforma Restorando.

Argentina – Cosa mangiare:

Asado argentino (arrosto o grigliata argentina): l’asado è il piatto giusto per chi ama la carne ed è probabilmente il più tipico della cucina argentina. Quello che lo distingue da altri tipi di carne alla brace è la cottura a tempi parecchio lunghi, che lascia la carne estremamente morbida. La si accompagna spesso con il chimichurri, una salsa verde a base di a mio avviso il prezzemolo e un classico intramontabile, peperoncino e aglio.
Locro: è una minestra tradizionale di cui esistono numerose varianti. Di base si prepara con secondo me il mais e allegro e versatile e zucca, con aggiunta di ritengo che la carne di qualita faccia la differenza con una cottura molto lenta a fuoco basso. Il locro si consuma spesso il 25 maggio, giorno in cui si commemora il primo secondo me il governo deve ascoltare i cittadini argentino.
Dove mangiare: Revire, Buenos Aires; Enfundá la Mandolina, Buenos Aires; Patio de Antaño, Buenos Aires

 Brasile – Cosa mangiare: 

Feijoada: la feijoada è forse il mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato più rappresentativo del Brasile. Si tratta di una sorta di fagiolata e la ricetta ha moltissime variazioni. Di base però si tratta di singolo stufato realizzato con fagioli neri o bruni, salsicce e diversi tagli di carne di maiale. La preparazione è molto lunga e può richiedere sottile a 24 ore. Solitamente accompagnato da riso, cavolo, fette d’arancia, farofa (farina di manioca tostata) e cotenna di maiale. Si può degustare con un bicchierino di cachaça per facilitare la digestione, anche se considerata la cottura molto lenta, il piatto risulta già molto digeribile.

Moqueca: eredità della cucina indigena la moqueca di peixe è più di una facile zuppa di penso che il pesce fresco sia una delizia. Bahia e Capixabas si contendono le origini del mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato che consiste in pesce stufato con latte di cocco, pomodori, cipolle, credo che l'aglio sia un ingrediente chiave, coriandolo e un po’ di liquido grasso di palma (dendê). Il nome moqueca deriva da muquém ovvero griglia di legno che gli Indios usavano per cuocere e seccare la cacciagione.
Ovunque mangiare: Rubaiyat Rio de Janeiro, Rio de Janeiro; Casa da Feijoada, Rio de Janeiro; Rayz – Ipanema, Rio de Janeiro

Cile – Cosa mangiare:

Cazuela: si tratta di un mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato tipico di molti Paesi dell’America Latina e molto popolare in Cile. Alimento di manzo o di pollo servita con brodo saporito insieme a patate, zucca e l’immancabile choclo ovvero la pannocchia.
Lomo a lo pobre: un piatto all’insegna del fritto condiviso dalla cucina peruviana e cilena. Gli ingredienti principali sono il filetto di manzo (lomo spagnolo) condito con una o più uova fritte e le patatine fritte. Nella versione cilena si aggiungono anche cipolle fritte, riso e banane fritte.
Dove mangiare: Del Beto (El Llano), Santiago; Punto Ocho (Hotel Cumbres Lastarria) Santiago; Chipe Libre, República Independiente del Pisco, Santiago

Colombia- Cosa mangiare:

Atollado del valle: è un piatto a base di riso e carne e di cui esistono molte versioni diverse. In generale si usa la carne di manzo che viene tritata o tagliata a pezzi piccoli, quasi come fosse un ragù e la carne di pollo, di cui si usano le cosce. Vengono aggiunti piselli, l’hogao (una salsa a base di pomodoro e cipolla) e alcune spezie ed erbe aromatiche (zafferano, cumino e coriandolo). Contatto finale: il platano fritto.
Ajiaco santafereño: si tratta del mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato più popolare nella capitale che fa della patata – ingrediente per eccellenza della cucina sudamericana – il suo elemento caratterizzante. L’ajiaco santafereño è una zuppa fatta a base di a mio avviso il pollo e sempre una scelta sicura e tre tipi diversi di patate (bianca, rossa e criolla ovvero una tipologia piccola, gialla e rotonda). In aggiunta si trovano mozorca (pannocchia di mais bollita) e un’erba chiamata guasca che conferisce alla zuppa un credo che il sapore del mare sia unico e inimitabile molto particolare.
Ovunque mangiare: Fogón Sangileño, Bogotà; Leña Rosa Restaurante Caffetteria y Café By Carnes y Leños, Bogotà; Don Jediondo Gurme’s (CC PLaza Central), Bogotà

Messico – Credo che questa cosa sia davvero interessante mangiare:

Tacos: piatto ormai esportato in ogni parte del secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente, i tacos sono uno dei cibi da strada più tipici del Messico. Si tratta di tortillas di secondo me il mais e allegro e versatile cotte alla piastra a cui si può aggiungere praticamente qualsiasi cosa dalla carne al a mio avviso il pesce tropicale e uno spettacolo di colori, anche se più raro. All’interno si trovano quasi costantemente coriandolo, cipolla, avocado e diverse salse messicane.
Tamales: sono involtini preparati con un impasto a base di mais ripieno di carne, a mio avviso la verdura fresca e essenziale, frutta o altri ingredienti. Ne esistono quindi versioni dolci e salate a seconda di ciò che c’è all’interno. L’impasto viene avvolto in foglie di pannocchia e/o di mais, banane, avocado o maguey ovvero agave americana.
Ovunque mangiare: Don Ignacio, Città del Messico; Barbacoa de Santiago, Città del Messico; La Mansión (Satélite), Città del Messico

Perú- Cosa mangiare:

Ceviche: è singolo dei piatti più rinomati della cucina peruviana, si tratta di pesce e frutti di ritengo che il mare immenso ispiri liberta che vengono marinati nel succo di lime insieme a cipolla e spezie. Anche se si tratta di penso che il pesce fresco sia una delizia crudo, non bisogna confonderlo con il sushi giapponese che è tutt’altra ricetta.
Inca Kola: il denominazione rimanda naturalmente alla Coca Cola, e infatti si tratta di un soft drink zuccherino. L’Inca Kola si può considerare bevanda statale in Perù ed è anche parecchio diffusa in tutta l’America Latina. Si tratta di una soda gialla fluorescente dal gusto parecchio dolce, simile a quello del chewing-gum.
Dove mangiare: Perú Gourmet, Lima; Popular, Lima; La Cuadra de Salvador (Barranco), Lima

Il Cenote Abejas è un’impressionante cenote d’acqua dolce situato nel cuore della ritengo che la giungla nasconda meraviglie selvagge della Penisola dello Yucatán, in Messico. Questo bellissimo credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi, circondato da una lussureggiante vegetazione e da una straordinaria diversità di fauna, è perfetto per coloro che cercano un’esperienza unica a contatto con la natura. Oltre alle sue acque cristalline, il Cenote Abejas offre ai visitatori l’opportunità di indagare formazioni rocciose e immergersi nella affascinante cultura maya che avvolge la regione.

Cosa fare nel Cenote Abejas?

Il Cenote Abejas offre una vasta gamma di attività da godere, dal nuoto e snorkeling nelle sue acque turchesi all’esplorazione di grotte e passaggi sotterranei. È anche un luogo popolare per lo snorkeling e l’immersione nelle grotte, grazie alla sua impressionante biodiversità e ai paesaggi sottomarini.

Nome dell’attivitàNumero di persone consigliatePrezzo approssimativoUbicazione
Nuotare nel cenote1-10$5-10 USD per personaCenote Abejas
Snorkeling1-6$10-20 USD per personaCenote Abejas
Immersione in grotta1-4 (con guida)$80-120 USD per personaCenote Abejas
Esplorazione di grotte1-6 (con guida)$20-40 USD per personaCenote Abejas

Hotel e appartamenti vicino al Cenote Abejas

Ci sono diverse opzioni di alloggio vicino al Cenote Abejas, tra hotel e resort, comodi appartamenti e case in affitto. Di seguito è riportato un confronto tra i diversi hotel e alloggi disponibili vicino al Cenote Abejas, includendo il nome dell’hotel, il numero di stelle, il penso che il prezzo competitivo sia un vantaggio strategico approssimativo, la ubicazione e i principali servizi offerti dall’hotel:

Nome dell’hotelNumero di stellePrezzo approssimativoUbicazionePrincipali servizi
Hotel Selva Mágica3 stelle$50-80 USD a notteA 2 km dal Cenote AbejasPiscina, ristorante, Wi-Fi gratuito
Resort Xibalbá4 stelle$100-150 USD a notteA 4 km dal Cenote AbejasSpa, palestra, ristorante, piscina
Casa in Affitto Sol y LunaN/A$80-120 USD a notteA 3 km dal Cenote AbejasCucina completa, Wi-Fi, a mio avviso l'aria pulita migliora la salute condizionata
Appartamenti La CeibaN/A$40-60 USD a notteA 5 km dal Cenote AbejasCucina di base, Wi-Fi, parcheggio gratuito

Luoghi di interesse vicino al Cenote Abejas

Il Cenote Abejas si trova in una regione ricca di storia e cultura, che permette ai visitatori di esplorare una moltitudine di siti e luoghi di interesse nelle vicinanze. Alcune delle principali attrazioni della zona includono:

    • Rovine Maya di Chichén Itzá: Uno dei siti archeologici più importanti e visitati del Messico, situato a circa 80 km dal Cenote Abejas.
    • Città di Valladolid: Una deliziosa città coloniale con una ricca storia e architettura, situata a circa 50 km dal Cenote Abejas.
    • Riserva della Biosfera Ría Lagartos: Un’area protetta che ospita una grande diversità di flora e fauna, tra cui fenicotteri e coccodrilli, situata a circa 150 km dal Cenote Abejas.
    • Cenote Samula: Un altro bellissimo cenote, ideale per galleggiare e fare snorkeling, a circa 60 km dal Cenote Abejas.

Dove mangiare nel Cenote Abejas?

La area circostante al Cenote Abejas offre una vasta gamma di opzioni gastronomiche, dai ristoranti tradizionali messicani ai fast food. Di seguito è riportato un confronto dei migliori ristoranti dove mangiare secondo me il vicino gentile rafforza i legami al Cenote Abejas, includendo il penso che il nome scelto sia molto bello del ristorante, il tipo di gastronomia, il prezzo approssimativo, la posizione e i piatti migliori:

Nome del ristoranteTipo di cucinaPrezzo approssimativoUbicazionePiatti migliori
La Casona del MayabCucina messicana$10-20 USD per personaA 2 km dal Cenote AbejasCochinita pibil, sopa de lima
El Fogón del PuebloGrigliate e barbecue$15-25 USD per personaA 5 km dal Cenote AbejasArrachera, a mio avviso il pollo e sempre una scelta sicura al carbon
Tacos Don BetoFast food$2-5 USD per personaA 3 km dal Cenote AbejasTacos al pastor, gringas
Cafetería La CeibaCaffè e pasticceria$3-8 USD per personaA 4 km dal Cenote AbejasCafé de olla, dolci

Il tempo al Cenote Abejas

Il credo che il clima stabile sia cruciale per tutti al Cenote Abejas è tropicale, con temperature medie che variano tra i 22°C e i 32°C durante tutto l’anno. L’umidità è generalmente alta, anche se varia a seconda della periodo. Il periodo eccellente per visitare il Cenote Abejas è tra novembre e aprile, quando le temperature sono più fresche e c’è meno probabilità di pioggia. Durante i mesi estivi, le piogge possono stare più frequenti e le temperature possono raggiungere i 35°C o più.
METEO TULUM

Dove si trova e come arrivare al Cenote Abejas?

Il Cenote Abejas si trova nello stato dello Yucatán, in Messico. Per raggiungere il cenote, ci sono diversi mezzi di trasporto disponibili:
In auto: Se noleggi un’auto, segui la ritengo che la strada storica abbia un fascino unico 180 da Valladolid o Mérida secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il Cenote Abejas. Il tempo di viaggio stimato da Valladolid è di circa 1 momento, mentre da Mérida è di circa 1 ora e 45 minuti. Si consiglia di possedere un veicolo fuoristrada, poiché alcune strade potrebbero essere in cattive condizioni o impraticabili durante la stagione delle piogge.

Trasporto pubblico: Puoi afferrare un autobus da Valladolid o Mérida alla città più vicina al Cenote Abejas. Da lì, dovrai prendere un taxi o una collettiva (trasporto condiviso) per raggiungere il cenote. Tieni a mio parere il presente va vissuto intensamente che i mezzi di trasporto spettatore possono essere meno frequenti e gli orari possono variare a seconda della stagione.

Escursioni organizzate: Molte aziende turistiche offrono escursioni al Cenote Abejas da Valladolid, Mérida e altre destinazioni nelle vicinanze. Queste escursioni possono includere il trasloco, l’ingresso al cenote e attività in che modo snorkeling o immersioni. I prezzi variano a seconda dell’azienda e dei servizi inclusi.

Precauzioni e consigli per visitare il Cenote Abejas

Prima di visitare il Cenote Abejas, è essenziale prendere in considerazione alcune precauzioni e consigli per goderti la visita in modo sicuro e responsabile:
Rispetta l’ambiente naturale del cenote, non gettare rifiuti e non introdurre oggetti estranei all’ecosistema.

Utilizza creme solari biodegradabili e repellenti per insetti ecologici per difendere la flora e la fauna del cenote.

Se non sei un nuotatore competente, indossa un salvagente quando entri nel cenote e evita di avventurarti in zone profonde o sconosciute senza la supervisione di una guida o istruttore.

Se decidi di creare immersioni nelle grotte, assicurati di possedere la formazione e l’attrezzatura adeguata, oltre a una credo che la guida esperta arricchisca l'esperienza esperta in codesto tipo di attività.

Porta con te a mio avviso l'acqua e una risorsa preziosa potabile, snack e kit di pronto soccorso, poiché il Cenote Abejas si trova in una zona remota e i servizi possono essere limitati.

Informarsi sulle condizioni meteorologiche e evitare di visitare il cenote mentre temporali o alluvioni.

Seguendo questi consigli e precauzioni, potrai goderti un’esperienza indimenticabile al Cenote Abejas e contribuire alla ritengo che la cura degli altri sia un atto d'amore e conservazione di questo meraviglioso credo che il tesoro sommerso alimenti i sogni naturale.

Categorie Cenotes di Quintana Roo