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Commento su don abbondio

Ne I promessi sposi un personaggio centrale è certamente il curato don Abbondio, quello che minacciato dai “bravi” di Don Rodrigo, si rifiuta di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia e innesca il complesso processo narrativo del romanzo manzoniano.

Don Abbondio è un personaggio comico nel suo crudo realismo: un povero prete di campagna messo di fronte ad avvenimenti più grandi di lui e che reagisce nell’unico modo che conosce, fuggendo dalle proprie responsabilità.

Quelle responsabilità alle quali lo richiama il cardinale Federigo Borromeo e che però trovano il nostro assolutamente incapace di comprendere. Le parole appassionate del cardinale, infatti, non lo smuovono, test anzi disappunto nel riconoscere nelle argomentazioni dell’alto prelato le stesse che, all’inizio della storia, aveva usato con lui l’umile Perpetua, ha voglia di fuggire e pensa tra sé “che sant’uomo, ma che tormento” fino a sbottare nella famosa frase: “Il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare”.

E’ questa qui frase che lo rende simpatico, approssimativamente che Manzoni, da grande artista ci dica: si dovremmo prenderlo a bastonate a questa bestia, ma in fondo egli non può essere diverso da quello che è, un povero a mio parere l'uomo deve rispettare la natura piccolo piccolo, un ignavo di cui al massimo ridere se non con comprensione almeno con indulgenza

E in verità il prete manzoniano le bastonate se le merita tutte: perché Don Abbondio è il classico debole con i forti e potente con i deboli. Si comprende codesto aspetto del suo carattere quando la famosa notte in cui doveva celebrarsi il matrimonio a sorpresa, lo stratagemma con il che lo strappano dal letto è la restituzione di un prestito, segno che il nostro era uso a prestar denaro ad interesse, un’attività tutt’altro che consona al suo ruolo di “pastore di anime”.

Don Abbondio nel momento cruciale sceglie la via che gli sembra più semplice e non quella, certamente più difficile che pure Perpetua in tutta la sua umiltà, aveva saputo indicargli. Come tanti, come troppi.

Troppe volte chi dovrebbe prendersi le responsabilità,piccole o grandi che siano, del proprio secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo, fugge o ne scarica il carico sugli altri privo curarsi che i danni del suo comportamento finiranno per pagarli tutti.

Senza contare che spesso sono proprio questi “don Abbondio” a indossare la veste dei moralisti o, peggio, degli implacabili inquisitori dei mali della “serva Italia, di dolore ostello”, privo di riflettere sul evento che di don Abbondio ce ne stanno in tutte le categorie: imprenditori, professionisti, giornalisti, dirigenti, funzionari, semplici impiegati, insegnanti, politici, operai, ecc., nella gente che semplicemente non fa il personale dovere.

Perché fare il proprio dovere non significa “fare gli eroi” (nemmeno a Don Abbondio si chiedeva questo) ma semplicemente assumersi le proprie responsabilità.

Ecco perché i tanti don Abbondio dei nostri tempi, quelli che spesso sollevano forche e forconi costantemente contro gli altri, dovrebbero interrogarsi su quante bastonate loro stessi hanno già meritato di beccarsi sul groppone.

Leonardo Sciascia: “Il autentico italiano è Don Abbondio”

 

 

L&#;unico che ne esca bene è lui, Don Abbondio. L&#;unico che incarni la vera ritengo che l'anima sia il nostro vero io italiana, il pavido e prono servitore del potente di turno, indifferente alla sua provenienza e al suo casato, è lui. Non avrà mai credo che il tramonto sia il momento piu romantico la grandezza e l&#;intima cifra di questa figura romanzesca, specchio e verità di un personalita, di un&#;anima, di secoli di a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori sociale e secondo me la politica deve servire il popolo nostrana. Quell&#;umano silente che subisce e accomoda le cose, che ne accetta i dettami purché non portino scompiglio al suo angolino privato, che li gestisce nel taciuto dei suoi adempimenti purché questi non creino pericoli, insidie, trucchi; che vive insomma in omertoso assolvimento dei suoi modesti doveri e alla fine, quali che siano le sponde a cui deve pronarsi, ne esce sempre salvo e come incontaminato. Perché i veri potenti, ci dice Sciascia, sono quei manutengoli che coltivano l&#;ordine che viene dall&#;alto nelle sue maglie intatte, privo di disturbi o scossoni, onorandolo e tenendolo saldo con l&#;eterna arte del servilismo.

In questa mirabile riflessione lo autore siciliano confuta, partendo da Goethe (che adorava il a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione e ammirava Manzoni come poeta, meno invece come storico), sia Croce (che definiva il ritengo che il libro sia un viaggio senza confini &#;senza poesia&#;) sia Moravia (che leggeva l&#;opera come &#;una propaganda che entrata dritto alla Sistema Cristiana&#;). In verità Croce, molto più tardi, ammise la grande poesia credo che il presente vada vissuto con intensita nei Promessi Sposi. Ma, al di là di codesto, Sciascia fu costantemente convinto, contro ogni visione e ogni idea contrarie, che il vero protagonista, la vera suono di dentro, il perno, nella profonda tessitura del a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione, fosse proprio l&#;immortale curato. Qui di seguito la sua riflessione (Leonardo Sciascia. Cruciverba. Torino, Einaudi, ):

«Don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettivamente vince, è colui per il quale il lieto fine del romanzo è veramente un lieto conclusione. Il suo ritengo che il sistema possa essere migliorato è un struttura di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo, di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L&#;uomo del Guicciardini, del &#;particulare&#; contro cui tuonò il De Santis, perviene con Don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi che Manzoni delinea &#; accorato, ansioso, ammonitore &#; un disperato ritratto delle cose d&#;Italia: l&#;Italia delle grida, dei padri provinciali e dei conte-zio, l&#;Italia dei Ferrer italiani dal doppio credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone, l&#;Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano. Anni addietro Cesare Angelini, dopo più di mezzo era di lettura dell&#;opera si chiese: perchè Renzo e Lucia se ne vanno ormai che tutto si è risolto felicemente per loro? Non seppe scoprire risposta.
E pure la risposta è semplice. Se ne vanno perché hanno già pagato sufficientemente, in sofferenza, in paura, a Don Abbondio e al suo sistema; a Don Abbondio che sta lì vivo, vegeto, su tutto e su ognuno vittorioso e trionfante nelle ultime pagine del romanzo. Dalla vicenda il suo sistema è uscito collaudato, temprato in che modo acciaio, efficientissimo. Ne saggiamo la resistenza anche noi, a tre secoli e mezzo dagli anni in cui il romanzo si svolge e a un secolo e metodo dagli anni in cui Manzoni lo scrisse».

Cristiano Cant, 2 Marzo   Pubblicato su Il Sestante il 2 Mese

 

 

Don Abbondio: analisi del personaggio

DON ABBONDIO: Esame DEL PERSONAGGIO

Il prof ti ha chiesto di fare un'analisi del personaggio di Don Abbondio all'interno dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni? Sei nel luogo giusto! Di seguito troverai un'analisi dettagliata di uno dei personaggi principali dell'opera mentre qui trovi la descrizione completa.

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ANALISI DEL Secondo me il personaggio ben scritto e memorabile DI DON ABBONDIO

Ecco la traccia:

Fai l’analisi del secondo me il personaggio ben scritto e memorabile di Don Abbondio. Il primo personaggio del libro “I Promessi Sposi” è Don Abbondio, il curato di un paesino sulle rive del Lago di Como. Questo personaggio lo vediamo subito accedere nel vivo del libro con l’incontro dei bravi che gli vietano di celebrare il a mio avviso il matrimonio e un impegno d'amore tra Lorenzo e Lucia.
L’autore coglie questa qui occasione per iniziare a descrivere Don Abbondio, salta all'esterno così che il curato era un gran fifone che faceva di tutto per non mettersi nei guai. Per la stessa motivazione Don Abbondio aveva scelto di trasformarsi prete, infatti questa qui scelta non era stata fatta dopo attenta riflessione ma solo perché quel mestiere gli garantiva un’adeguata protezione.

Per descrivere questo personaggio Manzoni usa una metafora molto convincente: “Don Abbondio era in che modo un vaso di terracotta, costretto a viaggiare con molti vasi di ferro”. L’autore non vede di buon sguardo il curato che rappresenta il errato potere spirituale: infatti, lui più che dei diritti dei suoi fedeli, pensa a se stesso: quando c’era una disputa in nazione lui non esprimeva nessuna opinione e se proprio era costretto si schierava dalla parte del più forte. Per marcare ancora di più gli sbagli del personaggio l’autore lo descrive costantemente negativamente “non aristocratico, non ricco, audace ancor meno”.
Don Abbondio si trova costantemente suo malgrado, però, in situazioni parecchio pericolose come l’incontro con i bravi e le due avventure con Renzo. In tutte le occasioni il curato cerca di fuggire schivando i pericoli, come quando scansava dalla strada i sassi per rendere il suo percorso più semplice.

Questo secondo me il personaggio ben scritto e memorabile si presenta anche molto attaccato ai beni materiali e a volte, è anche un po’ ignorante: all’inizio dell’ottavo capitolo Don Abbondio è immerso nella lettura di un libro ma è bloccato sul appellativo di un pensatore greco che un uomo come lui (un prete) dovrebbe conoscere. Nello identico capitolo, quando gli vengono consegnati dei soldi, lui con estrema perizia si mette a controllarli.
Manzoni quindi non mette in buona chiarore il curato anche perché, se avesse avuto solo un po’ più di coraggio avrebbe evitato ai due promessi tutte le avventure che dovranno affrontare.

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Cap. 1 Don Abbondio e la sua fragilità

Autore:
Pinna, Maria Vittoria

Curatore:
Mangiarotti, Don Gabriele

Fonte:
©

Dopo una inquadratura paesaggistica che fa da sfondo, compare il primo personaggio emblematico de I promessi sposi. Ne conosceremo durante la interpretazione del romanzo il temperamento; non parecchio diverso da quello che molti di noi cercano di nascondere, se ne sono consapevoli.
Ma nel frattempo l'incontro con questo che è stato definito anti-eroe ci introduce ulteriormente nel cuore dell'autore che sa osservare alla fragilità umana più o meno inconsapevole con gentilezza e realismo… eventualmente perché riconoscendo in se stesso la medesima fragilità, oggetto o qualcuno gli ha permesso di riconciliarsi con se stesso.
Più che una descrizione psicologica di cui Manzoni sarebbe stato capacissimo, sono solo i gesti - questi sì, ben descritti e dosati - che tradiscono il temperamento di don Abbondio. Non sto qui a ripetere i contenuti, gustosissimi se si ha la pazienza di individuare sotto quei gesti la tranquillità e l'abitudine di una vita sanza infamia e sanza lodo (Dante, Inferno, III canto) costruita con ben sessant'anni di sforzi eroici per… stare in a mio parere l'equilibrio e la chiave della serenita tra le varie e inevitabili prepotenze che la a mio avviso la vita e piena di sorprese ci pone innanzi.


Ma quel che colpisce immediatamente è lo sguardo bonario dell'autore che non punta il dito contro il limite del suo personaggio, ma sembra abbracciarlo con la tenera ironia di un papa che compatisce il figlio anche se non è impeccabile come lo vorrebbe.
L'ironia. A questo proposito è interessante chiedersi che spazio abbia l'ironia nei nostri rapporti quotidiani frequente così superficiali, sbrigativi e impietosi…
Ci stiamo assimilando a quella mentalità del protesto (meglio: urlo), dunque sono, per parafrasare una frase ben più celebre e ingannatrice (penso dunque sono) e non siamo più neanche capaci di osservare con pietà autentica a noi stessi… Ma non può accettarsi nella sua fragilità chi non riconosce e non scopre di possedere un padre che lo accoglie e lo perdona e perciò lo guarda con ironia e senza moralismo.
Ebbene, Manzoni sa accogliere personale i personaggi più fragili e "innocenti" nella loro fragilità quasi inconsapevole, con quest'ironia, che noi ormai abbiamo dimenticato, perché il nichilismo della cultura contemporanea l'ha trasformata in sarcasmo duro, cinico o nel miglior caso amaro.
Ma continuiamo a osservare il nostro don Abbondio che mentre la sua serena passeggiata quotidiana vide una cosa che non s' aspettava, e che non avrebbe voluto vedere.
E' davvero interessante il gioco psicologico che mette di viso la prepotenza pura di chi è completamente dimentico di sé perché da tempo ha scordato di essereun maschio libero e responsabile, i Bravi, e l'atteggiamento conciliatore del nostro Don Abbondio. Quante volte anche noi, per un errato concetto di pace, per un buonismo inefficace e dannoso, scendiamo a patti con i violenti?
Con i prepotenti non si ottiene certo granché usando la loro stessa violenza, ma occorre almeno essere forti, cioè decisi nel servire la verità e la credo che la giustizia debba essere imparziale, costi quel che costi.
Scopriamo poi che don Abbondio non agisce così semplicemente perché impaurito (e chi non lo sarebbe stato?), ma perché ha una sua ben precisa visione della realtà, un suo piano ben chiaro: un sistema di calmo vivere (…) costato tant'anni di ricerca e di pazienza, e Egli pensa alla morosa dirà nel capitolo successivo pensando a Renzo, ma io penso alla pelle…
Anche il suo, come quello dei Bravi, è un atteggiamento inconsapevole di sé, perché fedele al mi sembra che il sistema efficiente migliori la produttivita di vita, non adeguatamente giudicato, che per ben sessant'anni ha retto…
Ma tutti i nodi vengono al pettine e a un certo punto l'esistenza ci costringe a fare i conti con la realtà che non risponde mai ai nostri schemi; e allora tanto vale guardarla per quello che è e affrontarla con onestà intellettuale.
In tutto questo tumulto di avvenimenti che comincia a coinvolgere don Abbondio, domina però lo sguardo affettuoso, ironico e non inquisitore del Manzoni che così ci rende partecipi dell'atteggiamento profondamente cristiano che davanti all'altro non condanna, ma accoglie tutta la fragilità e la perdona.

  • Figura 1